chi sono | Alessio Brandolini |
che cosa ho scritto |
Poesie della terra LietoColle, Faloppio (Como), 2004 |
Poemas de la tierra traduzione e cura di Martha L. Canfield LietoColle, Faloppio (Como), 2004 |
Dodici Poesie della terra tradotte in sloveno da Jolka Milič
Quattordici Poesie della terra tradotte in portoghese da Geraldo Holanda Cavalcanti
Due Poesie della terra tradotte in francese da Viviane Ciampi
Due Poesie della terra lette dall'autore
L'apparente (solo apparente, e vedremo meglio perché) dolcezza elegiaca della poesia di Brandolini, a una prima lettura, mi ha ricordato il Bertolucci più giovane, quello di Sirio e Fuochi in novembre, capace di concentrare in spazi verbali assai ristretti lievità e intensità, limpidezza di dettato e, nello stesso tempo, affascinante nel suo mantenere una quota di inafferrabilità tesissima, di mistero. |
La aparente (sólo aparente, y ya veremos mejor por qué) dulzura elegíaca de la poesía de Brandolini, a una primera lectura, me recordó Bertolucci de joven, el de Sirio y Fuochi di novembre, capaz de concentrar, dentro de espacios verbales muy restringidos, levedad, intensidad y limpieza de expresión, siendo al mismo tiempo fascinante por saber mantener una cuota de tensa inaferrabilidad, de misterio. |
Alessio Brandolini ha trovato nell'opera di un poeta che senza dubbio gli è affine, Franco Facchini, la riflessione che introduce e illumina la propria poesia: gli alberi sono "antichi pensieri / piantati nel respiro / eterni". Le Poesie della terra, in effetti, sono anche poesie degli alberi: in essi la parola trova un'oasi simbolica e un'immagine visiva confortante, di individualità riunite in una somiglianza trascendente, nella quale l'io mortificato della nostra epoca frenetica e globalizzante può finalmente fermarsi e riposare. Gli alberi sono la memoria ancestrale - "antichi pensieri" - in cui il lettore contemporaneo trova indicazioni sicure, sono una guida e un punto fermo nell'insicurezza preponderante dei nostri giorni. È come se dovessi ricominciare Se il poeta intellettuale e urbano, in un determinato istante, ha voltato le spalle al mondo rurale, in un secondo momento egli ha però compreso che era necessario farvi ritorno. Per questo, come dice Santagostini, Brandolini non è, non può essere, l'epigono di alcuna tradizione bucolica. Egli è, semmai, poeta pioniere di una nuova tendenza - che l'ecologia e i movimenti ambientalisti del mondo applaudiranno - la quale riconduce la necessità razionale di un recupero dell'armonia con la terra, così urgente oggi a causa di una civiltà distruttrice e suicida, a un'emotività primigenia e naturale, quasi rarefatta dalla febbre della tecnologia. Se nel corso del XX secolo le voci poetiche che evocavano e cantavano il mondo rurale sono andate via via scomparendo man mano che le avanguardie esaltavano la macchina e la velocità e man mano che le città crescevano invadendo con il loro cemento i paesaggi naturali, oggi la fascinazione per la macchina ha lasciato spazio alla paura per la crescita indiscriminata della tecnologia e per le conseguenze nefaste che un potere incontrollato sulla natura potrebbe comportare. Nel mondo americano le voci degli aborigeni, che dopo secoli di oppressione cominciano a farsi sentire nella propria lingua e con la propria inalienata visione del mondo, cantano alla terra e tornano a proporre questa armonia ancestrale con la natura che non hanno potuto perdere. Per i poeti europei e, ad ogni modo, per i poeti di formazione urbana, cantare alla terra significa "tornare alla terra". Ed è questo che fa Alessio Brandolini: forse troppo tardi, ci avverte, per ricominciare dall'inizio. E tuttavia, come aggiunge nello stesso componimento, "meglio tardi che mai, / non è così che si dice?". È come se fossi inchiodato Incubo apocalittico e colpa del genocidio atomico ("intere città cancellate") che viene a sommarsi all'angoscia della natura corrotta, maltrattata, e, probabilmente per colpa nostra, malata per sempre. Così gli alberi, che alzando le chiome maestose verso il cielo ci mostravano il cammino che unisce le radici con l'anima, l'immanente con il trascendente, adesso sembrano abbandonati ("sono stati abbandonati?" si domanda il poeta), "non hanno più nome / sotto la spessa corteccia / c'è solo un buco [...] un nido di muffa, di tarli". &Erave; la terra che soffre, e noi siamo causa della sua sofferenza: soffre, la terra, "priva com'è / di sostanza, e d'amore". Mi sdraio sulla terra I ventisei componimenti della serie costituiscono un itinerario di viaggio all'interno e all'indietro: all'indietro, ossia prima della confluenza tra modernità e macchina; e all'interno, ossia verso quella memoria ancestrale in cui radice naturale e stirpe contadina si uniscono per offrire un'immagine inedita del proprio volto. Questo percorso implica perciò un viaggio di scoperta e di conoscenza, un viaggio d'iniziazione a una nuova identità e, forse, a una nuova vita. Non può dunque mancare la figura esemplare e tutelare, e questa figura è quella del padre - quello stesso padre cui è dedicata la raccolta, ispiratore e destinatario privilegiato di queste equazioni in cui un'emotività sommersa e recuperata ha finalmente incontrato la via d'uscita nella parola. Allora non parli più La parola, nella sua espressione, si condensa in gesti e sorrisi che abbracciano periodi di tempo ampi come la vita, ed è per questo che in un momento essi possono rivelare la vita stessa: Allora mi hai guardato Il padre incarna la figura tutelare in assoluto, e la sua complessità è confermata dall'identità femminile che intuiamo partecipare del suo essere, così come essa partecipa dello spirito degli alberi che allo stesso tempo serve e domina. Lo spirito della madre terra si manifesta nella capacità del padre di portare alla luce i frutti della terra, di curare e proteggere il suo frutteto, di riprodurre e alimentare. Di fatto, quando il figlio riconosce in lui abilità che vanno ben oltre il lavoro virile del contadino ("Le rose / le hai messe tu"), che hanno una gratuità e una bellezza graziosamente femminili, più che razionalmente utili, allora egli attribuisce queste abilità a un patrimonio di indubitabile matrice femminile: Le rose Ciò nonostante, e malgrado l'intensa dolcezza di questa relazione, un mistero irrisolto e un'aria di tormenta aleggiano sui versi più belli di questa raccolta inquietante. La ragione di ciò, probabilmente, risiede nel dramma stesso del figlio che lotta dentro di sé sia contro una condizione di sradicamento dalla natura - inevitabile nel mondo meccanizzato in cui siamo nati - sia contro la stessa attrazione per la natura che, vista in un'altra prospettiva, può significare un allontanamento dai cammini precostituiti della nostra società (appunto) snaturata. L'evidenza del vivere sulle rovine di quello che fu un impero - l'Impero Romano - acuisce il dolore del tempo che trascorre allontanandoci da noi stessi e vanificando la pretesa di costruire al di sopra o a dispetto del creato. Nell'esternazione di questo dolore del poeta, trova poi corpo l'inarrestabile meccanizzazione di quello che in un altro tempo - ma quando? prima di noi? prima dei nostri antenati? - ci era così naturale: Seduto su ruderi del tardo impero Così si produce dunque la lotta contro ciò che si ama, e il figlio si ostina a "raschiare" dalle pareti della mente questo viso "dolce e tranquillo", che sembra ignorare il dramma che provoca e che, nonostante ogni sforzo contrario, "si ricostruisce da solo", fortunatamente imperituro. Allo stesso modo, i tentativi di fuga dal mondo naturale si dissolvono e si neutralizzano grazie all'incanto della natura stessa: Anche a settembre danno il frutto Fra obbedienza al mandato ancestrale e armonia emotiva con la figura paterna e con la natura, il riscatto del figlio passa anche, inevitabilmente, attraverso la scrittura.: "virgole /sì, magari ogni tanto / qualche bel punto". La punteggiatura è una scelta ponderata, poiché le parole, come le risa delle piante, sembrano sorgere spontaneamente dall'esperienza della terra. La punteggiatura ordina, sistematizza, favorisce la significazione di un linguaggio che sorge grazie alla spoliazione e all'intrepido esercizio dell'essenzialità. Farsi più piccoli Forse adesso sarà possibile realizzare ciò che prima, nella vita frenetica e meccanizzata, sembrava un'utopia: tendere a un pensiero calmo e puro. È con questo proposito e questo augurio che si chiudono le Poesie della terra, e a tale augurio si associa il lettore, intimamente conquistato. Prima di concludere queste riflessioni, tuttavia, risulta indispensabile un'ultima considerazione sul lavoro di traduzione qui svolto. Il dibattito sull'opportunità o meno del "passaggio" da una lingua a un'altra quando la materia in oggetto è la poesia non si è concluso. Probabilmente ha ragione Octavio Paz quando considera la traduzione come un "ponte", non solamente utile ma addirittura indispensabile, fra le culture. Probabilmente, inoltre, anche se in tutte le lingue è possibile trovare un modo per esprimere ciò che diciamo nella nostra lingua, ci sono sfumature di significato e associazioni possibili, mezzi di relazione lessicale, che non sempre è automatico riprodurre. Quanto più il poeta è legato alle particolarità fonetiche e connettive della propria lingua, tanto più sarà difficile tradurlo. Quanto più egli è interessato all'essenzialità del messaggio, tanto più sarà facile effettuare questo passaggio. Quest'ultimo è il caso di Brandolini: il suo linguaggio, come la zappa di suo padre, lavora sì in profondità, ma accarezzando. Più che la sperimentazione, la rottura o la violenza, la parola di Brandolini si muove soavemente, crea, appunto, accarezzando; e apre solchi profondi in cui il lettore viaggia riconoscendo e imparando. Così il traduttore. (tradotto dallo spagnolo da |
Alessio Brandolini ha encontrado en la poesía de un poeta que le es sin duda afín, Franco Facchini, la reflexión que introduce e ilumina su propia poesía: los árboles son "antiguos pensamientos / plantados en la respiración / eternos". Los poemas de la tierra, en efecto, son también poemas de los árboles y en ellos la palabra encuentra un remanso simbólico y una imagen visual confortante, de individualidades reunidas en una semejanza trascendente, en la que el yo mortificado de nuestra época frenética y globalizante puede por fin apoyarse y descansar. Los árboles son la memoria ancestral - "antiguos pensamientos" - en los que el lector contemporáneo encuentra indicaciones seguras, una guía y una certeza en la inseguridad preponderante de nuestros días. Es como si tuviera que volver a empezar Si el poeta intelectual y urbano, en un determinado momento, ha vuelto la espalda al mundo rural, en un segundo momento ha comprendido que era necesario volver a él. Por eso, como dice Santagostini en la nota precedente, Brandolini no es, no puede ser, el epígono de ninguna tradición bucólica. Él es, en todo caso, un poeta pionero de una tendencia nueva - que la ecología y los partidos verdes del mundo aplaudirán - que reúne la necesidad racional de recuperar la armonía con la tierra, ahora urgente a causa de una civilización masacrante y suicida, y una emotividad primaria y natural, enrarecida por la fiebre de la tecnología. Si a lo largo del siglo XX las voces poéticas que evocaban y cantaban el mundo rural se fueron perdiendo paulatinamente, a medida que las vanguardias exaltaban la máquina y la velocidad y a medida que las ciudades crecían invadiendo de cemento los paisajes naturales, hoy día la fascinación por la máquina ha dejado lugar al miedo por el crecimiento indiscriminado de la tecnología y por las consecuencias nefastas que podría tener un poder incontrolado sobre la naturaleza. En el mundo americano, las voces de los aborígenes, que después de siglos de opresión, empiezan a hacerse oír, en sus propias lenguas y con su propia inalienada visión del mundo, cantan a la tierra y vuelven a proponer esa armonía ancestral con la tierra que no han podido perder. Para los poetas europeos y, en todo caso, para los poetas de formación urbana, cantar a la tierra significa "volver a la tierra". Y eso es lo que hace Alessio Brandolini: tal vez demasiado tarde, nos advierte, y sin duda para volver a empezar desde el principio. Pero, como agrega en el mismo poema, "más vale tarde que nunca / se dice así, ¿no es cierto?". Es como si estuviera clavado Pesadilla apocalíptica y culpa del genocidio atómico ("ciudades enteras borradas") que se vienen a sumar a la angustia de una naturaleza corrompida, maltratada, y por causa nuestra, tal vez, enferma sin remedio. Así, los árboles, que alzando sus copas majestuosas hacia el cielo nos enseñaban el camino que une las raíces con el alma, lo inmanente con lo trascendente, ahora parecen abandonados ("fueron abandonados?", se pregunta el poeta), "ya no tienen nombre / y bajo la robusta corteza / hay sólo un agujero [...] un nido de moho, de carcoma". Es la tierra que sufre, y la causa somos nosotros: sufre porque siente "la carencia / de substancia y de amor". Me recuesto en la tierra Los veintiseis poemas de la serie constituyen un itinerario de viaje hacia adentro y hacia atrás: atrás quiere decir antes de la confluencia entre modernidad y máquina; y adentro significa hacia la memoria ancestral en donde raíz natural y estirpe contadina se reúnen para ofrecer una imagen inédita del propio rostro. Ese itinerario implica, por lo tanto, un viaje de descubrimiento y de conocimiento, un viaje de iniciación a una nueva identidad y, quizás, a una nueva vida. No puede faltar entonces la figura ejemplar y tutelar. Y esa figura es la figura del padre. El mismo padre a quien está dedicado el poemario: inspirador y destinatario privilegiado de estas ecuaciones en las que una emotividad sumergida y recuperada ha encontrado finalmente la vía de salida en la palabra. Entonces no hablas más La palabra, en su expresión, se condensa en gestos y sonrisas que abrazan períodos de tiempo largos como la vida y por lo mismo en un momento pueden revelar la vida misma: Entonces me miraste Este padre encarna la figura tutelar en absoluto, y su complejidad se confirma cuando comprendemos que hay una entidad femenina que también participa en él, como en el espíritu de los árboles a los que al mismo tiempo sirve y domina. El espíritu de la madre tierra se manifiesta en la capacidad del padre para desentrañar los frutos de la tierra, para cuidar y proteger su vergel, para reproducir y alimentar. De hecho, cuando el hijo reconoce en él habilidades que van más allá del trabajo viril del campesino ("Las rosas / tú las pusiste"), que tienen esa gratuidad y esa belleza más graciosamente femeninas que racionalmente útiles, las atribuye a un patrimonio de indudable raíz mujeril: Las rosas No obstante, y a pesar de la intensa dulzura de esta relación, un misterio irresuelto y un aire de tormenta permanece por encima de los versos más hermosos de este poemario inquietante. La razón de ello, tal vez, resida en el drama mismo del hijo que lucha dentro de sí contra una condición de desarraigo de lo natural - inevitable en el mundo mecanizado en que hemos nacido - y contra la misma atracción por la naturaleza que, vista desde otro ángulo, podría significar desvío de los caminos preconcebidos por nuestra sociedad (precisamente) desnaturalizada. La evidencia de vivir sobre las ruinas de lo que fue un imperio - el Imperio Romano - agudiza el dolor del tiempo que transcurre alejándonos de nosotros mismos y vanificando la pretensión de construir por encima o a despecho de lo creado. En la externación del ese dolor del poeta se manifiesta además la inarrestable mecanización de lo que en otro tiempo - pero cuándo, ¿antes de nosotros, antes de nuestros ancestros? - fuera natural en nosotros:
Así se produce entonces esa lucha contra lo que se ama, y el hijo se empecina en "rascar" de las paredes de la mente ese rostro "dulce y tranquilo", que parece ignorar el drama que provoca y que, no obstante los esfuerzos contrarios, "se reconstruye solo", afortunadamente imperecedero. Igualmente las tentativas de fuga del mundo natural se disuelven y se neutralizan gracias al encanto mismo de la naturaleza:
Entre obediencia al mandato ancestral y armonía emotiva con la figura paterna y con la naturaleza, el rescate del hijo pasa asimismo, inevitablemente, a través de la escritura: "comas / sí, a lo mejor cada tanto / un lindo punto". La puntuación es una elección ponderada porque las palabras, como la risa de las plantas, parecen surgir espontáneamente de la experiencia de la tierra. La puntuación ordena, sistema, favorece la significación de un lenguaje que surge gracias al despojamiento y al intrépido ejercicio de la esencialidad. Volverse más pequeños Tal vez ahora será posible aspirar a lo que antes, en la vida frenética y mecanizada, parecía utópico: aspirar a un pensamiento calmo y puro. Es con este propósito y con este augurio que se cierran los Poemas de la tierra y a ese augurio adhiere el lector, íntimamente conquistado. Antes de cerrar estas reflexiones, sin embargo, una última consideración resulta indispensable sobre el trabajo de traducción aquí efectuado. El debate sobre la pertinencia o menos del "pasaje" de una lengua a otra cuando la materia en objeto es la poesía, no ha terminado. Es probable que tenga razón Octavio Paz cuando considera la traducción literaria como un "puente", no sólo útil sino indispensable, entre las culturas. Es probable también que, aunque en todas las lenguas sea posible encontrar medios para expresar lo que decimos en la nuestra, haya matices de significado y asociaciones posibles, medios de relación lexical, que no siempre resulta automático reproducir. Cuanto más aferrado esté el poeta a las particularidades fonéticas y conectivas de su propia lengua, más difícil será traducirlo. Cuanto más interesado en la esencialidad del mensaje, más fácil será efectuar ese pasaje. Este último es el caso de Brandolini: su lenguaje, como la azada del padre, trabaja en profundidad pero acariciando. Más que la experimentación, la ruptura o la violencia, la palabra de Brandolini se mueve suavemente, crea acariciando; y abre surcos profundos en los que el lector viaja reconociendo y aprendiendo. Así el traductor. |
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