Il cinghiale e l’incendio
Una larga collina circondata da boschi. Il verde folto, ma cupo, il cielo troppo grigio per conquistarlo con la luce di marzo. Michele aveva visto con la coda dell’occhio un enorme cinghiale correre tra gli sterpi e lì si era precipitato per prenderlo con la corda che aveva in mano. Se fosse riuscito nell’impresa avrebbe avuto di che vivere per più di due settimane, e si trattava di ottimo cibo. Ma il cinghiale restava immobile, quasi senza respirare, ben nascosto.
L’uomo distolse lo sguardo dal punto in cui l’animale sarebbe uscito, prima o poi, per riprendersi la libertà. Alla sua sinistra una casa stava bruciando. La raggiunse forzando il passo, più per curiosità che per soccorrere chi ne avesse avuto bisogno o per dare una mano a spegnere le fiamme.
Il fuoco aveva già avvolto pareti e tetto.
Seduto su un masso c’era un bambino che suonava un flauto rudimentale, componendo una musica dissonante e monotona. Quando notò Michele smise di soffiare e alzò lo sguardo. Calmo indicò la casa e disse: «Mamma e papà sono morti lì dentro, per salvarmi».
Che voleva dire? Perché, assieme a lui, non erano usciti anche i genitori per mettersi in salvo? Chi aveva dato fuoco alla casa? Perché aveva lo sguardo asciutto e poco prima se ne stava lì, tranquillo, a suonare il flauto?
Michele e il bambino videro la schiena ingobbita del cinghiale sfrecciare inerpicandosi in salita. Lassù sarebbe stato impossibile catturarlo. L’animale raggiunse il punto più alto della collina e si fermò qualche istante. Guardò giù, verso di loro, lo sguardo carico di schegge scintillanti. Dalle narici dilatate dalla corsa uscivano sbuffi di vapore bianco.
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