chi sono Alessio Brandolini
 
che cosa ho scritto

Interviste e articoli




nel giornale: EL HERALDO DE MÉXICO, 14 luglio 2019, Alessio Brandolini, buscador de poesía clandestina, di Pablo Esparza, (l'originale è qui)

nel sito Radio Unam, 10 dicembre 2018, intervista di Mariángeles Comesaña su En la mirada del lobo

nella rivista web: ORIZZONTI CULTURALI ITALO-ROMENI, giugno 2018, L’Italia al IX Festival Internazionale di Poesia di Bucarest (FIPB), di Smaranda Bratu Elian, (l'originale è qui)

dal sito Il Bibliomane, 27 febbraio 2014, intervista di Pierfrancesco De Paolis, (l'originale è qui)

27 giugno 2013, agenzia di stampa argentina "Télam": Alessio Brandolini en el Festival Latinoamericano de Poesía, di Jorge Boccanera

20 marzo 2013, "Rai Educational": I fili d'aquilone di Alessio Brandolini

2 novembre 2012, dal sito "Periodico daily", intervista di Michele Zanarella: Alessio Brandolini, la poesia come un fiume che va verso il mare

Intervista in Roma - Milano in versi: Andata – Ritorno. Due capitali della poesia contemporanea, tesi di laurea di Miriam Romano, AA 2010-2011

Brussellando, 1 febbraio 2011, (qui la pagina nel sito di "Brussellando")

25 ottobre 2010, dal sito "Eco Libri", intervista di "signorinalewis": Vita da poeta. Incontro con Alessio Brandolini

Ecoradio, 7 agosto 2007, (qui il sito di Ecoradio)

Radio Vaticana, 10 novembre 2005, di Verónica Becerril - in spagnolo -, (sul sito della radio il file audio)

dal sito ICoN - Italian Culture on the Net, ottobre 2005, (l'originale è qui)

dal sito dell'editore LietoColle, 13 aprile 2005, di Rafael Courtoisie, (l'originale è qui)

dal sito Fucine Mute, Webmagazine, n. 57, 8 novembre 2003, di Matteo Danieli, (l'originale è qui)

dal sito Writers, settembre 2003, di Ivano Malcotti, (l'originale è qui)




nel giornale: EL HERALDO DE MÉXICO, 14 luglio 2019     (inizio)

ALESSIO BRANDOLINI, BUSCADOR DE POESÍA CLANDESTINA
di Pablo Esparza

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nel sito dell'emittente RADIO UNAM, 10 dicembre 2018, intervista di Mariángeles Comesaña su En la mirada del lobo     (inizio)




nella rivista web: ORIZZONTI CULTURALI ITALO-ROMENI, giugno 2018, di Smaranda Bratu Elian     (inizio)

L’ITALIA AL IX FESTIVAL INTERNAZIONALE DI POESIA DI BUCAREST (FIPB)

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dal sito Il Bibliomane, 27 febbraio 2014, di Pierfrancesco De Paolis     (inizio)

INTERVISTA AD ALESSIO BRANDOLINI

Walter Benjamin l’ha teorizzato da tempo: l’arte ha ormai perso la sua aurea. La colpa di tutto? Dell’industria. Perdere l’aurea significa smarrirsi nel labirinto della riproduzione tecnologica dove non rimane nulla di unico, nulla di sacro.
Ma un filo d’Arianna c’è. Nonostante la produzione artistica di massa (spesso deludente) sia quella maggiormente imposta, non demordiamo, ma impariamo a indiviuare quella letteratura sotterranea che esiste ed è pure di qualità. Alessio Brandolini potrebbe essere uno dei nostri ciceroni. Sia come scrittore che come divulgatore di opere di spiccato interesse. Nato nel 1958 a Frascati, Brandolini, ha trascorso i suoi primi vent’anni a Monte Còmpatri. Ora, vive a Roma, dove si è laureato in Lettere moderne. Ha pubblicato le raccolte poetiche: L’alba a piazza Navona (in 7 poeti del Premio Montale, 1992), Divisori orientali (2002,  Premio Alfonso Gatto – Opera prima), Poesie della terra (2004, poi anche in spagnolo Poemas de la tierra), Il male inconsapevole (2005), Mappe colombiane (2007), Tevere in fiamme (2008, Premio Sandro Penna), Il fiume nel mare (2010, Finalista Premio Camaiore) e Nello sguardo del lupo (2014). Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue e pubblicati su riviste italiane e straniere. Nel 2013 ha pubblicato il libro di racconti Un bosco nel muro (Empirìa). Traduce dallo spagnolo e dal 2006 coordina Fili d’aquilone, rivista web di “immagini, idee e Poesia”. Nel 2011 ha fondato la casa editrice Edizioni Fili d’Aquilone. 
Molti i suoi lavori, dunque, e molta la sostanza. Il Bibliomane, forte sostenitore della cultura, quella vera, ha deciso di intervistarlo, con l’intento di dimostrare che in Italia forse non tutto è perduto.

Come è iniziata la sua attività letteraria? Perché ha deciso di scrivere?

Non ho “deciso” di scrivere, leggevo molto e leggendo riflettevo e a un certo punto ho avvertito la necessità di mettere per iscritto alcune idee, pensieri. Ho iniziato a scrivere diari, brevi racconti, poi c’è stata la scoperta della poesia e sono nati libri che ho tenuto nel cassetto a lungo (alcuni sono ancora lì). Poi l’esordio nel 1991 con una silloge inviata al Premio Montale, dal titolo L’alba a piazza Navona (pubblicata l’anno successivo in un’antologia del Premio).

La sua attività è stata pluripremiata ed è multiforme (dalla poesia, ai racconti, passando per la traduzione), ma ci sono alcune costanti nella sua poetica?

Ho pubblicato diversi libri di poesia e ogni libro ha una sua voce, un suo linguaggio. Però ci sono due costanti a livello poetico: una linea di rottura, di scomposizione che passa per Divisori orientali (2002), Il male inconsapevole (2005) e Tevere in fiamme (2008), e una linea di ricomposizione, più intima ed elegiaca che inizia con le Poesie della terra (2004) e prosegue con Mappe colombiane (2007) e arriva a Il fiume nel mare. Nell’ultimo libro di poesia pubblicato recentemente, Nello sguardo del lupo (La Vita Felice, 2014), c’è un avvicinamento di queste due linee nelle sette sezioni in cui è diviso il libro, ciascuna delle quali ha un proprio ritmo ma dialoga con tutte le altre.

Ci parli della sua esperienza come direttore della rivista online Fili d’aquilone. La sua rivista ha il merito di parlare di autori poco conosciuti in Italia: che ruolo riveste il web nella divulgazione della materia letteraria?

Fili d’aquilone è una rivista trimestrale online (d’immagini, idee e Poesia) nata nel 2006 e pochi giorni fa abbiamo messo in rete il numero 33. L’idea è nata durante un mio viaggio in Colombia quando, partecipando a un importante festival di poesia, mi sono reso conto di quanti poeti bravi ci fossero al mondo. Per lo più sconosciuti in Italia, magari fino a quando arriva un Premio importante a livello internazionale. Abbiamo iniziato a pubblicare poesia canadese, francese, slovena, brasiliana, colombiana, venezuelana… Curando anche la pubblicazione di sillogi inedite di poeti italiani. Dando spazio al racconto, alla fotografia, alla critica letteraria, alla letteratura per l’infanzia.
Questo progetto è stato possibile realizzarlo e poi condurlo avanti grazie all’impegno di tutta la redazione: Giuseppe Ierolli, Martha Canfield, Jolka MiliČ, Ambra Laurenzi, Viviane Ciampi, Vera Lúcia de Oliveira e dei tanti collaboratori che da anni ci sono vicini e apprezzano Fili d’aquilone.
Il web sta facendo molto per la letteratura, non solo per i tanti blog e riviste, ma anche perché è un magazzino dove si trova di tutto: digitando, per esempio, il nome di un poeta messicano che non conosco vengono fuori molte cose utili: testi, immagini, interviste. E questo vale anche per i libri, le piccole case editrici (che vendono soprattutto grazie alle librerie online), ecc. Ovviamente occorre selezionare e non impantanarsi troppo.

Dietro Fili d’aquilone mi pare sia sottesa una polemica contro il piattume della grossa editoria. È per questo che ha deciso di rendere Fili d’aquilone anche una casa editrice?

Non polemizzo perché la situazione è evidente: meglio rimboccarsi le maniche ed operare con moderato ottimismo. Così è nata nel 2011 la casa editrice Fili d’Aquilone che si differenzia dal nome della rivista solo per la A maiuscola. Autori pubblicati nella rivista meritavano di essere conosciuti in contesti diversi e il libro ha ancora (e per fortuna) la sua grande importanza: puoi inviarlo a un critico, a una biblioteca, a un premio letterario… Siamo partiti con un’antologia sui poeti contemporanei del Québec curata da Viviane Ciampi e poi il poeta argentino Jorge Boccanera, da me tradotto. Abbiamo pubblicato altri poeti stranieri nella collana i fili (tra l’altro una bella antologia dedicata a Emily Dickinson) e un romanzo per ragazzi (di Annarita Verzola) che ha inaugurato la collana le ali.
Non è stato facile Pierfrancesco ma se lo fosse stato avremmo imparato ben poco. I “fili” seguitano a intrecciarsi, a unirsi per tessere e dialogare.




Télam, agenzia di stampa argentina, 27 giugno 2013, di Jorge Boccanera     (inizio)

Alessio Brandolini en el Festival Latinoamericano de Poesía

Poeta de lo cotidiano que indaga sobre “el alma del mundo” y dice buscar un sentido de “hermandad” contra la indiferencia, el italiano Alessio Brandolini llegó a Buenos Aires para participar en el V Festival Latinoamericano de Poesía que se lleva a cabo estos días en el Centro Cultural de la Cooperación (CCC).

Esta primera visita a la Argentina se agrega a un periplo por países latinoamericanos -El Salvador, Venezuela, Costa Rica, Nicaragua- que, según cuenta se filtró a su poesía desde 2004, cuando viajó a Colombia invitado al Festival de Poesía de Medellín y descubrió, dice “una manera diferente, abierta, de compartir la poesía”, que le cambió la vida.
“Mucho del conocimiento de estos países, sus poetas, sus historias, quedó en mi poesía -como mi libro Mapas colombianos-; luego empecé a traducir y fundé la revista web Fili d`aquilone y la editorial del mismo nombre, que publica sobre todo a poetas hispanoamericanos”, cuenta el poeta.

Ubicado por la crítica entre el intimismo y la crónica de la crisis de la sociedad, la obra de Brandolini (1958) reconoce entre sus influencias a Dante Alighieri y Francesco Petrarca: “Allí está mi primer amor por la poesía, junto a un nombre menos conocido: Guido Cavalcanti: su extravío y angustia ante la vida dan un tono moderno a sus textos”.
También entre sus vecindades figura Giacomo Leopardi: “Un poeta muy importante que está dentro de mi vida y de mi trabajo poético por su poesía perfecta y su pensamiento profundo, su coraje de vivir fuera del contexto social de su familia, de ser libre”.
A sus preferencias añade a Pier Paolo Pasolini “empezando por sus primeros libros en dialecto friulano; una poesía íntima que se acerca a la de Pascoli y luego se vuelve más ideológica. En sus novelas romanas y en su cine da voz a la gente de la calle; lo hace sin retórica, con un lenguaje moderno. Su obra maestra, en este sentido, es la película «Accattone»”.

A su generación la ubica Brandolini en la línea de la poesía de comienzos del siglo XX -“muy buena y vasta” en las voces de Giuseppe Ungaretti, Dino Campana, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Umberto Saba, Mario Luzi, Sandro Penna y Amelia Rosselli: “Realizaron un gran trabajo sobre el lenguaje que dejó atrás la poesía retórica de D`Annunzio”. Aunque distingue, además en su misma promoción una relación fuerte con la poesía extranjera, lo que da una apertura al abanico expresivo, y una línea hermética confrontada a una poética de la vida cotidiana.
“A esta última me siento más cercana; me permitió recuperar la voz de un poeta de fines del siglo XIX: Giovanni Pascoli, y su contacto con la naturaleza”, dijo.

Sobre la evocación del mundo campesino -en un verso suyo habla de “refugiarse en los pliegues de la tierra”- señala: “Es el de mi familia, mi trabajo en la infancia, mis raíces. Más que un refugio es un diálogo con la tierra, mi pueblo y mi padre, a quien dediqué el libro Poemas de la tierra.
“El esfuerzo de trabajar la tierra le da un valor humano, conecta al hombre de hoy con el de ayer; es memoria en acción -describe- . La ciudad está abajo, y aunque lejana, puede verse. Es una mirada diferente. También dediqué un libro a Roma -donde resido- Tíber en llamas, donde el campo está lejos, arriba. Una especie de «contracanto» a los poemas de la tierra. Y variando la mirada cambia el ritmo de la poesía”.

Los temas de la poesía de Brandolini, quien obtuvo los Premios de Poesía “Alfonso Gatto” y “Sandro Penna”, van de lo social (la guerra de Irak, en el libro El mal inconsciente), al misterio que rodea la existencia (en textos de su inédito En la mirada del lobo), haciendo pie además en el eje amoroso y la minucia de lo cotidiano.
Otro de sus libros, El río en el mar, lo dedica: “A los muertos en el Mediterráneo/ en busca de una casa / en busca de un trabajo”: “Es una poesía que desea revisar lo que ocurre en el alma del mundo, adonde vivimos; un sentido de hermandad, de participación en el dolor de los desdichados tratando de quebrar el muro de la indiferencia, de buscar una casa común, al menos en los sentimientos”.

Como traductor Brandolini trabajó sobre textos de varios poetas de América Latina, entre ellos el mexicano José E. Pacheco, el uruguayo Rafael Courtoisie, el venezolano Igor Barreto, al costarricense Jorge Debravo y a la argentina Alfonsina Storni. “Storni luchó por ser poeta y madre, y en su poesía se refleja esa lucha y su coraje, algo difícil hoy y mucho más en las primeras décadas del siglo pasado. Me gustan sus poemas cortos, con versos simples sí, pero directos, secos, a menudo contundentes. Sus versos de amor y de muerte”.
De esta labor afirma: “Cuanto más se traduce, es más difícil traducir. No se puede evitar el ser ‘traditore’ (traidor); es imposible ser fiel en todo al original. Cada uno tiene su ruta; trato de ser fiel al texto y recrear un buen sonido en la traducción italiana, lo más semejante posible al original”.

Para Brandolini, la poesía que se escribe hoy Italia está a cargo de las voces de Maria Luisa Spaziani, Elio Pecora, Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Patrizia Cavalli y “sobre todo”, de Vittorio Sereni.
Y respecto a versos suyos que destilan anhelos y abrigos –“se vuelve a creer en días (…) arrancar las ortigas que han crecido en los senderos de la casa”, concluye: “Escribir poesía ya es de por sí un acto de coraje, de esperanza, de resistencia a la superficialidad y al cinismo”.




I fili d'aquilone di Alessio Brandolini, Rai Educational, 20 marzo 2013     (inizio)




Da Roma - Milano in versi: Andata – Ritorno. Due capitali della poesia contemporanea, tesi di laurea di Miriam Romano, Anno Accademico 2010 - 2011, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Italianistica     (inizio)

Nella Tesi di Laurea di Miriam Romano, tra le altre cose, vengono esaminati diversi aspetti della poesia di Brandolini, con particolare attenzione al suo rapporto con la città di Roma e i Castelli romani. Qui l’intervista dell’autrice al poeta contenuta nella Tesi (pag. 129- 134).

INTERVISTA AD ALESSIO BRANDOLINI

L'alba a Piazza Navona, Divisori orientali, Poesie della terra, Mappe colombiane, Il Tevere in fiamme, Il fiume nel mare: quasi tutte le sue raccolte poetiche parlano di luoghi e hanno titoli di luoghi.

Sì, una specie di geografia personale. Un percorso poetico e, insieme, di vita, che parte da un luogo particolare e preciso, piazza Navona, il cuore (per me) della capitale. Una piazza amata e vista praticamente tutti i giorni per un lungo periodo, lavorando a due passi da quel luogo. Un cammino che va avanti attraverso le tappe della mia esistenza e delle mie riflessioni, fino ad arrivare al “fiume nel mare”, un flusso poetico che conduce a uno spazio più ampio: il luogo dell’origine e della fine.

Quanto ha influito sul suo punto di vista non solo personale, ma anche poetico, nascere e vivere la sua adolescenza in un luogo di campagna, Monte Compatri, un piccolo paese dei Castelli Romani, lontano dalla grande città? Dalle sue poesie sembra, ancora oggi, essere un luogo a lei particolarmente caro, a tal punto da esercitare un’attrazione quasi magnetica.

La vita in un piccolo paese ti segna per sempre, ci sono degli echi che ritornano, delle vibrazioni emanate dalle pietre che ti hanno visto crescere. Poesie della terra (2004), segna il ritorno al paese, dal quale mi ero distaccato tanti anni prima per andare a lavorare nella grande città. Un ritorno “concreto”: un terreno coltivato assieme alla mia famiglia alle pendici di Monte Compatri. Questo segna anche il ricongiungimento alla terra, alla campagna, a mio padre contadino, agli alberi. In Tevere in fiamme (2008), dove i versi scrutano nei mali del mondo e di Roma, il paese di origine è il luogo che allaccia il presente al passato; il luogo del riposo e della tregua: “Da qui vedo il pese, in alto sulla destra / lo stesso che ha scolpito questo cuore / fitto d’oscure macchie e pietra grezza”.

Lei, poeta per eccellenza del luogo esplicitato, del luogo che ispira, del luogo che genera e plasma la mente, cosa pensa della poesia del non luogo?

Ci sono luoghi segreti che il poeta esplora partendo da zone ben precise, conosciute come le proprie tasche. Dante entra nell’Inferno (e nella sua “divina” poesia) partendo da Gerusalemme e Leopardi nell’infinito osservando una collina di Recanati. Lo sguardo concreto e attento sulle cose reali che ci attorniano può portare in altri luoghi, avvicinarci all’universale. Tutta la poesia tende al metafisico, anche quando sembra rifiutarlo esplicitamente. È una caratteristica implicita alla poesia, che a volte conduce il poeta per mano, o lo spinge e lo strattona, nelle direzioni più disparate. Come per la musica. Un buon poeta deve avere una relazione speciale con la musica (anche quella del silenzio), è questo che conduce all’altrove o nei “non luoghi”, più vicini però a una poesia mistica.

La sua poesia sulla terra dei Castelli Romani è una poesia che parte dalle cose (“Le rose / non hanno odore / i petali piegati / si lasciano / lacerare dal vento / essiccare dal sole. / Sul filo del recinto / ortiche divorano / le more acerbe/ con le spine legate / da fili d’erba secca / a formare fragili nidi”). Quella su Roma, al contrario, trova più ispirazione dalle situazioni. Però entrambe traggono spunto dalle persone. Da un lato esse sono quelle rimaste nel paese che ritrova quando vi fa ritorno (i suoi genitori, per esempio) o che fanno parte del suo passato e della memoria (sua nonna, chiamata con affetto Tilla, alla quale dedica un componimento nella raccolta Il fiume nel mare), dall’altro quelle che a Roma accompagnano la sua quotidianità. Città e campagna: una diversa ispirazione?

Non sento una forte diversità d’ispirazione in riferimento ai luoghi. Forse perché sono ormai parte integrante, città e campagna, della mia esistenza. Tendono a sovrapporsi, a mescolarsi, pur nella loro marcata difformità. I luoghi “ispirano” sentimenti discordi ma poi essi vengono filtrati dal lavoro della/sulla scrittura. Non pubblico “raccolte” di poesia, ma “libri” di poesia. Una differenza sottile ma importante. Lavorando a Tevere in fiamme ho scelto, selezionato, riscritto più volte, testi che messi insieme narravano un percorso, costruivano una storia, seguendo alcuni particolari fili conduttori, facendo delle precise scelte metriche e linguistiche. Questo vale per tutti i miei libri, tranne che per Divisori orientali (2002) che è una sorta di “antologia personale”, nata in questo modo per un eccesso di materiale accumulato in dieci anni d’intenso e isolato lavoro poetico.

Le fiamme del Tevere sono una metafora molto forte. Il fiume fa da specchio ad una città arsa dai suoi drammi: “dalle altre immagini di Roma: / a festa illuminata e persa dietro il fiume in fiamme, ai neon / al nido di lamiere, teli di plastica e cartoni dei rifugi dei derelitti”.

Roma è la città eterna, con la sua storia millenaria, i suoi monumenti, le sue chiese. La sua esplorazione mi ha condotto a riflettere sui drammi dei nostri tempi e sul contrasto tra un’idea di Roma idealizzata e la realtà, di Roma in concreto (nei suoi scontri, contrasti e indifferenze, vedi la poesia “Largo Preneste”), ma anche di quello che essa rappresenta: centro della cristianità. Così ho approfondito alcuni temi specifici. Per esempio quello del male, già al centro di una precedente raccolta (Il male inconsapevole, 2005).

Il mare (“Il fiume e la città / ricongiungono i pezzi / laggiù, dentro il mare”), come la campagna, sono luoghi dove perdere se stessi, lasciarsi alle spalle il male di vivere della città per poi, alla fine, ritrovarsi e ricostruirsi grazie al contatto più profondo con il nostro io interiore. Sono una barriera fisica e mentale che spegne le fiamme della città.

Acuta osservazione che lascia poco spazio alla mia risposta. Se la terra (la campagna) è il padre, il mare (nella mia poesia) è una specie di madre che sa accogliere. Ci parla e ci ascolta, talvolta ci culla. Da qui anche la differenza stilistica tra Tevere in fiamme e Il fiume nel mare, il primo tende a strappare, a mettere tutto in discussione (anche le proprie certezze); il secondo a ridisporre insieme i frammenti, a placare gli eccessi, a smussare le spine, a ricucire i tagli, a spegnere le fiamme.

Il ruolo ad oggi della religione in una metropoli come Roma: un peso o un’opportunità?

Dovrebbe essere una grande opportunità. Non sempre è così, purtroppo. La spiritualità più genuina preferisce starsene lontano da Roma, dalle città, dal caos, dalle istituzioni politiche e religiose.

Qual è il valore che oggi viene dato alla poesia in Italia? In questo senso, quali possono essere le città più vivaci dal punto di vista della produzione poetica e dell'aggregazione di poeti?

Il valore della cultura negli ultimi decenni è andato riducendosi e così quello della poesia, che sopravvive grazie al lavoro di poche persone, piccoli editori, critici attenti. Ma la poesia insegna anche ad andare avanti, a sfuggire alle mode, a non rassegnarsi. Roma e Milano sono due poli importanti, ma forse l’aggregazione è più viva in città piccole, dove è facile incontrarsi e stare assieme.

Secondo lei, per quale motivo l'indagine del legame tra città e poesia è un tema sul quale la critica si sofferma in modo più attento oggi rispetto al passato?

La città è una forma di aggregazione sociale fondamentale della società moderna: seguitano a crescere, a dilatarsi e stratificarsi. La loro conoscenza permette di tastare il polso a una nazione, a un intero paese e lo sguardo del poeta può essere d’aiuto a comprendere questa complessa realtà.

Oltre a Roma nella sua poesia parla di altre città o luoghi italiani come Orvieto (Cammino per i vicoli d'Orvieto), Firenze (“Elegante sbeffeggia la propria bellezza / da qui Firenze è una donna senza velo”), il Circeo (“Sulla parte alta del Circeo / la cinta muraria vestita / di soffice mischio, di spine / e sotto il canale che unisce / il lago di Sabaudia al Tirreno”). Cosa questi luoghi hanno ispirato in lei tanto da divenire oggetto della sua poesia?

Orvieto rappresenta il simbolo di una città-paese, chiusa nella sua rocca, ma attiva, vivace, piena di attività culturali e misteriosa per via dei suoi scavi sotterranei di origine etrusca (tombe, pozzi, cisterne, magazzini, abitazioni). Firenze conserva una “dimensione umana” e la bellezza dei suoi monumenti riflessi nell’Arno rammentano un periodo di armonia e di bellezza, quello umanista e rinascimentale. Il Circeo rappresenta il mito, non solo quello della maga che lì viveva, ma quello universale di Ulisse in viaggio verso casa che nel frattempo vive, con curiosità e audacia, ogni tipo d’incontro e di avventura.

Quale immagine di Milano le hanno lasciato i suoi soggiorni nel capoluogo lombardo? In cosa la trova diversa da Roma?

Milano e Roma: un difficile confronto, per via della loro diversità. Milano punta sul moderno, Roma sulla conservazione. Quindi Milano è più organizzata ma Roma più autentica e per un poeta questo è decisivo. Mantenere ben salde le proprie radici, la propria storia è indispensabile proprio per costruire un futuro il meno traballante possibile. La storia millenaria di Roma purtroppo non ha impedito gli scempi dell’era fascista, ma non l’ha distrutta. Per esempio la capitale ha conservato una struttura a raggiera che avvicina l’urbe alla campagna, si pensi alle consolari che viaggiano dritte nello spazio e nel tempo: a partire dall’Appia antica.

Pensa che scriverà mai qualcosa su Milano? Che taglio darebbe ad un'eventuale opera poetica sul capoluogo lombardo?

Difficile, ma non impossibile. Questa domanda mi fa venire in mente un grande poeta venezuelano Eugenio Montejo, nelle sue poesie parla del proprio paese, di Caracas, poi improvvisamente cita Trieste, Anversa, la neve (che lì non esiste). Ecco, per tornare all’inizio della nostra intervista: i nostri luoghi, conoscendoli bene, ci portano altrove, ci fanno conoscere altre città (anche se non ci siamo mai stati). Così come conoscendo meglio noi stessi possiamo relazionarci meglio agli altri. La poesia si fa viaggio, scoperta, volo nei cieli e discesa negli inferi, un ricongiungimento tra difformi geografie, un abbraccio tra uomini e città lontane.




Brussellando, su Radio Alma (Bruxelles), 1 febbraio 2011     (inizio)

Alessio Brandolini parla del suo libro Il fiume nel mare


prima parte


seconda parte




Ecoradio, 7 agosto 2007     (inizio)

Intervista ad Alessio Brandolini

prima parte

seconda parte




Radio Vaticana, 10 novembre 2005, di Verónica Becerril - in spagnolo -     (inizio)

Entrevista a Alessio Brandolini

La tierra es todavía nuestra
la abrazan los olivos
de hojas plateadas
que pintan el aire
grabando listas de nombres
historias que nos perteneces.

No nos conocen
pero nos sienten
en la madera
en la respiración
en la mirada
en el paso lento
que resiste a los días
que sube hasta allá arriba
a los muros torcidos de las casas
del antiguo poblado medieval.

A través de la fuerza de esta poesía que nos introduce en el mundo de los campesinos, del valor de la tierra, de sus inquietudes, hoy les vamos a presentar en Radio Vaticana a un poeta italiano del que ya se ha hablado en medios como "L'Osservatore Romano", o la revista "30 giorni". Se trata de Alessio Brandolini, ganador del Premio Montale de poesía en 1991, a través del cual, inició una brillante carrera productiva en el mundo de la poesía, y al final de este mes saldá el nuevo libro de poemas que se titula "El mal incosciente" (Il Ramo d'Oro Editore). Casado y con dos hijos, Alessio ha sabido recorrer con seguridad el camino de las letras, a pesar de haber empezado a publicar tarde, el espíritu joven que tiene le ha llevado a ser invitado a varios festivales de poesía, como el de Medellín en Colombia o recientemente el de El Salvador. El festival al que acudió nuestro invitado tuvo lugar el pasado mes de octubre en la que ya fue su IV edición. Alessio fue uno de los 19 poetas invitados a este encuentro de poesía, compartendo lecturas con poetas de Sri Lanka, Brasil, Honduras, Israel, Argentina, España, Estados Unidos y Cuba entre otros. ¿Alessio nos podrías contar un poco cómo se desarrollaron los cuatro días de encuentros con los salvadoreños?

Bien. Fueron cuatro días muy intensos con lecturas hechas en las universidades, escuelas, cárceles, plazas, etc. de San Salvador, que es la capital - caótica pero vivísima - de este pequeño, pero interesantísimo país de Centroamérica. He hecho hasta tres lecturas al día, ante un público siempre muy interesado, muy atento. Además los poetas del festival han podido conocerse con calma, hablar, eintercambiarse libros, ideas sobre la poesía, la literatura mundial. Y yo pienso que este aspecto, junto a las lecturas, claramente, es una característica del festival de poesía de El Salvador: los organizadores desean que los poetas invitados puedan hacer amistad. Y conocí poedas de gran valor como, entre otros, el brasileño Ledo Ivo, el argentino Jorge Boccanera y el poeta español, de origen cubana, Rodolo Häsler.

Habéis leído también en escuelas de pequeñas localidades salvadoreñas, cómo ha sido recibida la poesía por parte de los más pequeños.

Los poetas han leido en las escuelas de Suchitoto, que es un pueblo tranquillo y muy lindo rodeado del verde de la selva pluvial. Aquí los escolares de 10 a 15 años han escuchado muy atentamente a los poetas, felices de estar delante de poetas de todo el mundo, que estaban allí para ellos y que hablaban idiomas extranjeros (portugues, italiano, rusos ecc.) y que leían poemas que después venían traducídos al español. Una experiencia única, y muy fuerte.

A ti cómo persona qué te ha aportado este encuentro en el Salvador.

Para mi estar en El Salvador, como he dicho, fue una experiencia muy importante. No solamente porque he leído mis poemas delante de personas muy amables y atentas, pero también porque he podido conocer un país muy interesante y hacer amistad con otros poetas que - como yo - estaban allí para participar en el festival y, además, los poetas de El Salvador, país qué tiene una buena poesía, (como lo es la del poeta David Escobar Galindo), y tiene también una fuerte tradición poetica (deso recordar Francisco Gavida, Roque Dalton.). Durante el festival internacional de poeía de El Salvador vivì una emoción que, estoy seguro, me quedará siempre dentro de mi, alimentando y dando sustancia a mi poesía, al mi modo de estar delante de la poesía, de hacerla y de pensarla.

Por último queremos dejar a nuestros radioyentes el recuerdo de una de las poesías leídas por nuestro autor, una poesía que habla de la tierra.

Bien, leeré con mucho gusto el ultimo poema, que cierra el libro "Los poemas de la tierra". Libro que salió el año pasado en la casa editorial LietoColle y después fué traducido en español y en esloveno. Este libro está dedicado a mi padre, que se llama Giuseppe, y es un campesino que vive cerca de Roma, en un pueblecito que se llama Monte Còmpatri y donde yo viví hasta los veinte años.

Es como si tuviera que volver a empezar
todo desde el principio
desde los penosos primeros pasos.
Ahora lo sé y no espero nada más.
Sí, tendría que haberlo entendido
diez años atrás
pero tal vez no podía.
No obstante: más vale tarde que nunca,
se dice así, ¿no es cierto?

Les voy a pedir que me ayuden
una asidua colaboración
para no aislarme de nuevo
no dividirme en tantas partes
en el espíritu y en el cuerpo.
Así también está bien
se puede vivir en silencio
cambiar de modo brusco
el método y la dirección
aspirar a un pensamiento calmo y puro.

Volverse más pequeños
para dormir en los nidos de los pájaros
más ágiles para treparse a los árboles
más livianos para tenderse en las ramas.
para después podarlas y recoger los frutos.
Más delgados para pasar
entre las rejas de los portones.




dal sito ICoN - Italian Culture on the Net, ottobre 2005     (inizio)

Intervista ad Alessio Brandolini

A quali modelli si ispira la sua poesia?
Beh, dovrei fare un lungo elenco, a partire da Omero, ma arriviamo subito al 900. In Italia la linea che sento vicina ai miei gusti è quella che parte da Pascoli e passa per Saba, Ungaretti, Montale, Pavese (della raccolta poetica Lavorare stanca ma anche del romanzo La luna e i falò), Penna, Bertolucci, Pasolini. Per gli stranieri dell'ultimo secolo citerei almeno Vallejo, Majakovskij, T. S. Eliot, Kavafis, Machado, Szymborska, Borges, Eielson, Enzensberger, Benedetti... Per me non esiste uno steccato con la prosa e la mia poesia si nutre di tanti libri di narrativa, o anche di testi per il teatro (per esempio quelli dell'amato Goldoni).

La sua poesia propone un rapporto con la natura. Un rapporto diretto ma non semplice. È d'accordo?
La relazione con la natura è diretta, certo, ma non può essere semplice. Nella raccolta Poesie della terra tratto argomenti legati agli alberi, al paesaggio, alle stagioni, al lavoro manuale ma anche alle difficoltà ad avere un rapporto immediato con la natura. Non solo perché vivo a Roma da quando avevo vent'anni, ma soprattutto per il fatto che il senso della natura è stato stravolto negli ultimi decenni e la nostra società va così di corsa che non ha nemmeno il tempo di accorgersene. La terra, e la nostra Terra, soffrono, per abbandono e mancanza d'amore.

Negli ultimi anni la sua poesia ha avuto una singolare diffusione in spagnolo. In particolare lei è stato invitato al Festival di Medellín nel giugno 2004 e quest'anno a quello di El Salvador, oltre che al festival di Tetovo, in Macedonia...
Sì, ho fatto tante letture sia Medellín che a Bogotá, davanti a un pubblico non solo sempre numeroso ma anche attento, partecipe e le persone che ascoltavano poi ti venivano vicino, ti parlavano, ti abbracciavano e questo calore umano per me è importante. Uno scambio di poesia, di culture e di lingue. Ho avuto una sintonia con i poeti colombiani (come Armando Romero), ovviamente i più numerosi e a proprio agio. Sono stato anche colpito dalla poesia sintetica e sarcastica del messicano José Emilio Pacheco. Dall'esperienza colombiana del giugno scorso è nato un nuovo libro di poesia che s'intitola Mappe colombiane, e una selezione di questi testi uscirà sulla rivista Poesia.

A quale generazione, gruppo o linea appartiene? La sua poesia propone anche temi di forte impegno. Inoltre alla sua attività come poeta lei ne affianca molte altre: promotore culturale, redattore e collaboratore di riviste letterarie. Come interpreta il senso della poesia civile oggi?
Mi sento un "poeta contadino" che punta a una semplicità articolata, con tanti rami e foglie... i piedi ben piantati nella terra, che però vive in una città densa di storia (e di traffico e smog) come Roma. Per fortuna il mio terreno è a soli 30 chilometri e appena posso lo raggiungo. Ho coltivato la mia poesia in solitudine, anche se le prime pubblicazione su rivista risalgono al 1989, e non sono mancati premi importanti a partire dal 1991. Non mi sentivo in sintonia con tanta poesia italiana, in gran parte in quell'epoca nel mezzo d'una deriva orfica o ancora le-gata alla neoavanguardia, dove nella scrittura in versi la letteratura conta più della poesia. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Mi sento vicino alla poesia che tende alla chiarezza, che talvolta s'avvicina a cadenze prosastiche, ma internamente pura, intensamente lirica. Non è un caso, quindi, che in questo clima poetico nuovo, e a me più vicino, ho pubblicato nel 2002 Divisori orientali (Premio "Alfonso Gatto - Opera Prima"), con molte poesie dure legate alla vita in città e nel 2004 Poesie della terra (nel frattempo tradotte in spagnolo da Martha Canfield e in sloveno da Jolka Milič). Poi è giunto l'invito a far parte della giuria del premio di poesia "Pier Paolo Pasolini" e ad ottobre uscirà la raccolta Il male inconsapevole per l'editore triestino "Il ramo d'oro". Qui ci sono testi in cui parlo di guerre, di torture sui prigionieri... ecco questo è il mio impegno poetico, umano e civile. Però una poesia se è buona è già di per sé un'operazione di civiltà, e in qualche modo, anche di resistenza. Inoltre m'impegno a far conoscere libri, parlandone su riviste e siti letterari, oppure presentandoli o - cosa ancora più divertente - leggendoli "a voce alta" con un gruppo che si chiama "I libri in testa" e che ormai è giunto al quarto anno di vita.

Quali iniziative le sembrerebbero utili per diffondere la lingua e la cultura italiana all'estero?
Già molto si fa con gli istituti culturali italiani all'estero, ma si potrebbe fare di più, certo. Per esempio in Colombia (dove la lingua italiana è molto amata) ho proposto un'antologia di poesia italiana e colombiana, ma il discorso potrebbe valere per altri paesi stranieri. Un libro così potrebbe nascere dalla fusione (per il singolo progetto) di due case editrici (italiana e del paese straniero interessato), per ammortizzare le spese e promuovere al meglio il progetto. Poi l'antologia verrebbe presentata nei due paesi e sarebbe un ponte tra due culture, due lingue, due poesie.

Una poesia
CON IL VETRO NELLE MANI

Sono anni che pratico le domeniche come se nulla fosse
striscia la luce sotto un tappeto di foglie ed è la voragine
di ricordi che prendono fuoco
e poi ecco il lunedì il martedì il mercoledì
e via discorrendo. Le attese, sai, non sono
il cimitero che ci assomiglia
nel suo rumore di voci
di macchie dorate sulla morte
passate con il vetro nelle mani
per questo la mia fermata è pronta
da un pezzo e ammira, quindi, i grandi fari
i chiarori che cullano e quelli portati in dono dalla luna.




dal sito dell'editore LietoColle, 13 aprile 2005, di Rafael Courtoisie (*)     (inizio)

INTERVISTA AD ALESSIO BRANDOLINI

La sua poesia propone un rapporto con la natura. Un rapporto diretto ma non semplice. È d'accordo?

La relazione con la natura è diretta, certo, ma non può essere semplice. Nelle Poesie della terra (2004, LietoColle, anche in edizione spagnola Poemas de la tierra, edito sempre da LietoColle) tratto temi legati agli alberi, al paesaggio, alle stagioni, al lavoro manuale ma anche alle difficoltà ad avere un rapporto immediato con la natura. Non solo perché vivo a Roma da quando avevo vent'anni, ma soprattutto per il fatto che il senso della natura è stato stravolto negli ultimi decenni e la nostra società va così di corsa che non ha nemmeno il tempo di accorgersene. La terra, e la nostra Terra, soffrono, per abbandono e mancanza d'amore.

Martha Canfield parla di una "apparente dolcezza elegiaca". In ogni caso si tratta di un'elegia che nello stesso tempo festeggia, celebra.

Festeggia un ritorno, certo, l'aver ritrovato qualcosa che era in me, d'importante e autentico, per quanto pieno di acciacchi e cicatrici. Le poesie della terra sono venute dopo un periodo durissimo della mia vita. Ho sentito il bisogno di recuperare la memoria di ciò che sono, il legame con la mia famiglia, con mio padre, che è un uomo burbero e di poche parole, con il terreno dove vendemmiavo da bambino, con il paese medioevale arrampicato sul cucuzzolo d'una montagna dove ho vissuto fino a vent'anni con la mia numerosa famiglia. Ma si sa che il ritorno non è mai semplice: è passato molto tempo, le cose sono cambiate, persino il paesaggio non è più lo stesso, e tanti volti amati non ci sono più. La dolcezza elegiaca nasce nello scoprire l'armonia della vita in una foglia, nel trovare gioia nel piantare un albero, nel potarlo, nel riportare a casa un cesto di albicocche, o di dolcissimi fichi. Nell'aprire un dialogo nuovo con mio padre, con la speranza di riuscire a trasmetterlo ai miei figli.

Nomini alcuni dei suoi poeti (italiani o stranieri) di riferimento (e cioè che siano per Lei punti di riferimento).

Dovrei fare un lungo elenco, a partire da Omero, Dante e Petrarca, altissimi e indispensabili, per poi passare per Giacomo Leopardi e Emily Dickinson e arrivare ai giorni nostri, ma fermiamoci subito al 900. In Italia la linea che sento più vicina è quella che si richiama a Giovanni Pascoli e passa per Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, il Cesare Pavese della raccolta poetica "Lavorare stanca" (ma anche del romanzo "La luna e i falò"), Sandro Penna, Attilio Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Raboni. Per gli stranieri dell'ultimo secolo citerei almeno Federico Garcia Lorca, César Vallejo, Vladimir Majakovskij, T. S. Eliot, Konstantinos Kavafis, Antoio Machado, Wislawa Szymborska, Jorge L. Borges, Jorge Eduardo Eielson, Hans Magnus Enzensberger, Mario Benedetti ... Mi piace molto anche la poesia di Jorge Arbeleche, che ho conosciuto a Roma, ogni tanto rileggo i suoi testi, come, ad esempio, "El campesino de Tashkent" o "La casa de la piedra negra", "Rojo"... Aggiungo che per me non esiste uno steccato con la prosa e la mia poesia si nutre di tanti libri di narrativa, o addirittura di testi per il teatro (per esempio quelli dell'amato Carlo Goldoni).

Negli ultimi anni la sua poesia ha avuto una singolare diffusione in spagnolo. In particolare lei è stato invitato al Festival di Medellín nel giugno 2004. Come è stata quell'esperienza?

Semplicemente fantastica. Sono partito con tante paure addosso e poi tutto è stato bello e naturale, e al festival mi sono sentito a mio agio. Devo aggiungere che tutto è stato reso più facile dai Poemas de la tierra (2004, LietoColle) che mi portavo dietro, tradotti alla perfezione da Martha Canfield, anche lei presente al festival e che ha letto e commentato i miei testi in spagnolo. Ho fatto tante letture sia Medellín che a Bogotá, davanti a un pubblico non solo sempre numeroso ma anche attento, partecipe e le persone che ascoltavano poi ti venivano vicino, ti parlavano, ti abbracciavano e questo calore umano per me è importante e rimarrà dentro di me per sempre. È stato anche un modo per conoscere tanta poesia e tanti poeti di ogni continente. Ho avuto una sintonia con i poeti colombiani, ovviamente i più numerosi e a proprio agio, come Armando Romero, Mario Rivero, Juan Felipe Robledo, Manuel Roca. Insieme abbiamo persino progettato un'antologia di poesia italiana e colombiana. Sono stato anche colpito dalla poesia sintetica e sarcastica del messicano José Emilio Pacheco e ho conosciuto l'incisivo e originale poeta uruguayano Eduardo Espina. Con molti poeti conosciuti al festival sono rimasto in contatto telematico.
Dall'esperienza colombiana del giugno scorso è nato di getto un nuovo libro di poesia che s'intitola Mappe colombiane.

Brandolini sembra possedere un orecchio speciale per quello che lui chiama "musica del giardino", la musica della terra..., è così?

Mi sono ritrovato in un terreno che era di mio padre e ancora prima di mio nonno e via all'indietro, fino a risalire al Medio Evo. Ho iniziato a lavorare duramente: falciavo l'erba, potavo, tagliavo, piantavo alberi. E il lavoro manuale mi ha rimesso in sintonia con me stesso, ha rallentato il ritmo della mia vita, del mio modo di sentire le cose. Da qui, forse, la capacità d'ascoltare la natura, la musica del giardino, talvolta fatta di silenzi sottili, o del rumore d'una foglia che plana sulla terra appena arata. Non è stato facile e tuttora proseguo nell'impresa d'imparare ad ascoltare meglio e più profondamente, di riuscire a staccarsi dal superfluo, dal rumore così da tendere "a un pensiero calmo e puro". Alcun temi presenti nelle Poesie della terra li riprendo e li sviluppo nelle Mappe colombiane, libro che si basa sull'intreccio delle mie esperienze al festival di Medellín e su quelle legate alla mia vita, al mio sentire umano e poetico.

Come si situa lei nell'attuale poesia italiana? A quale generazione, gruppo o linea appartiene?

Mi sento un "poeta contadino" che punta a una semplicità articolata, con tanti rami e foglie... i piedi ben piantati nella terra, che però vive in una città densa di storia (e di traffico e smog) come Roma. Per fortuna il mio terreno è a soli 30 chilometri e appena posso lo raggiungo. Per anni ho coltivato la mia poesia in solitudine, anche se le prime pubblicazione su rivista risalgono al 1989, e non sono mancati premi importanti a partire dal 1991, ma sono rimasto sostanzialmente un isolato per molto tempo, un po' per scelta, un po' per carattere. Vero è che non mi sentivo in sintonia con tanta poesia italiana, in gran parte in quell'epoca nel mezzo d'una deriva orfica o ancora troppo legata alla neoavanguardia, dove nella scrittura in versi la letteratura conta più della poesia. Negli ultimi anni è avvenuto un cambio, un ritorno a testi più diretti, di più facile comprensione, seguendo la lezione di Umberto Saba che affermava che "la letteratura sta alla poesia come la menzogna sta alla verità". Adesso critica e pubblico sembrano più attenti nei confronti di questa poesia. Ecco, io mi sento vicino a questa linea che tende alla chiarezza, che talvolta s'avvicina a cadenze prosastiche, ma internamente pura, intensamente lirica. Non è un caso, quindi, che in questo clima poetico nuovo, e a me più vicino, ho pubblicato nel 2002 Divisori orientali (con molte poesie dure legate alla vita in città), che è una specie di autoantologia di un lungo percorso poetico, nel 2004 Poesie della terra. Poi è giunto l'invito a far parte della giuria d'un premio di poesia importante come il Pier Paolo Pasolini e a settembre di quest'anno uscirà la nuova raccolta Il male inconsapevole per l'editore triestino Il ramo d'oro, che contiene testi tradotti in spagnolo (e letti in Colombia) e in francese e pubblicati su una rivista belga.

marzo 2005

(*) Rafael Courtoisie è nato a Montevideo, dove vive, nel 1958. Professore universitario, scrittore in versi e in prosa ha pubblicato numerose raccolte di racconti e di poesie, e alcuni romanzi, di cui due usciti in Italia: Vite di cani e Sfregi (Avagliano Editore, 2004). Un nuovo romanzo è in uscita presso l'editore di Firenze "Le Lettere".




dal sito Fucine Mute, Webmagazine, n. 57, 8 novembre 2003, di Matteo Danieli     (inizio)

Intervista ad Alessio Brandolini
"Vagabondo a piedi nudi"

Matteo Danieli (MD): Hai passato un lungo periodo d'astinenza dalle case editrici. Cosa ti è successo?

Alessio Brandolini (AB): Beh, tante cose, che forse aiutano anche la poesia. Ho fatto dei figli, per esempio. Ho lavorato e letto molto, camminato, piantato alberi... in fondo dieci anni per scrivere un libro non sono mica tanti!

MD: Incominciamo dal tuo libro, in particolare dalla prima citazione, con cui apri la raccolta: Nulla è virtuale. / Se non il nulla / che ci circonda. Se questi DIVISORI ORIENTALI fossero un grande viaggio del "turista volontario" nel mondo della televisione - passando dagli scenari di National Geographic alle pagine di Cronaca Nera, dalle Tribune Elettorali agli Stadi di Calcio, ai Tradimenti, agli Amori - allora quella citazione avrebbe quasi l'effetto dell'ultima parola: il telespettatore spegne lo schermo e se ne va a dormire, "Nulla è virtuale. / Se non il nulla / che ci circonda", fantastico!, i DIVISORI sono stati una grande metafora dell'immagine-mondo occidentale.
Ma è proprio così? Il tuo è un mondo guardato attraverso lo schermo? Che cosa inghiotte il virtuale? Come hai scelto il titolo della raccolta?

AB: Quante domande! Il virtuale, ti chiedo, sostituirà il reale? I monitor cattureranno del tutto la nostra attenzione? Sappiamo (o sapremo) usare bene i nuovi mezzi tecnologici o ne verremo usati? O profondamente cambiati?
Le "deformazioni" che avvengono dentro alcune poesie dei DIVISORI ORIENTALI nascono da uno sguardo obliquo e mobile sulla realtà. Un modo di leggere le cose dovuto all'assenza di certezze, di forti punti di riferimento e al continuo smottamento dei punti cardinali. Alla mancanza di un solido pavimento sotto i piedi, a una eccessiva intrusione nella nostra quotidianità (e nella nostra coscienza) della tivù, del monitor, delle telecamere. Alla vita trasformata in spettacolo che rischia di scivolare velocemente dal reale al virtuale e, quindi, dal virtuale al nulla.
Il titolo della raccolta, DIVISORI ORIENTALI, è ripreso da una poesia, l'ultima. Ma alludo a qualcosa che divide l'uomo, lo separa. Qualcosa che viene da molto lontano, nel tempo e nello spazio.

MD: In certi momenti ci regali delle immagini folgoranti, come l'attacco di "Susino in vetro giallo". Alla lunga però esse non sembrano tenere all'interno dei singoli testi e viene da chiedersi "Perché le ha usate?". Da qui si potrebbero aprire molte questioni di ordine teorico ma a me interessa chiederti: il poeta oggi deve essere chiamato a dimostrare un dominio sui suoi propri mezzi tecnici? Nel tuo caso, ciò che si distacca dal razionale per entrare nel fantastico o nell'onirico - magari attraverso una similitudine sinestetica, come l'attacco della poesia citata - ha soltanto la funzione di sintonizzare il lettore su un'altra lunghezza d'onda?

AB: Allora: "Susino in vetro giallo" è una poesia alquanto oscura, lo ammetto, e forse proprio per via delle "immagini folgoranti" di cui tu parli. Per questo avevo pensato di tagliarla dalla scelta che stavo operando per questa raccolta. Così da lasciare spazio a testi più diretti, più "narrativi". Però DIVISORI ORIENTALI , come spiego in una nota alla raccolta, è una specie d'antologia personale, una scelta di poesie venute fuori in più d'un decennio. Non me la sono sentita di eliminare testi più complessi, magari oscuri, ma che riescono a evocare bene la mia infanzia, e i momenti a essa collegata: come ricordo dal presente al passato, come ricordo delle paure di quel presente proiettato verso il futuro.
Ci sono diversi fili nella raccolta che s'intrecciano e provano a tessere un'idea personale di poesia. I miei testi partono quasi sempre dalla realtà circostante e poi vi ritornano. Spesso passando per sentieri fantastici, per i sogni, e quelli sono i momenti ideali per creare immagini forti, significative che sì, come tu dici, possono servire a sintonizzare il poeta (e spero anche il lettore) su una lunghezza d'onda non abituale, straniante. Per poi captare segnali che altrimenti risulterebbero inascoltabili, inavvicinabili, o incomprensibili.

MD: Chiameresti in certi momenti la tua poesia "realismo magico"?

AB: No, sarebbe fuorviante. La mia poesia è quello che è. La realtà non si fa mai del tutto magica. Esploro degli stati d'animo percepiti stando di fronte alla realtà, e per riuscire ad esprimerli mi capita di utilizzare (o creare) immagini simboliche, o anche "magiche". Ma quello non è mai il fine ultimo.

MD: Il tuo modo di scrivere spesso ha dei versi lunghi, equilibrati. Si ha l'impressione di una voce calma e controllata - organizzata - che regola il gioco della versificazione. Ogni tanto compaiono un meglio allora, un infatti o un invece che misurano l'andatura e avvicinano il tono confidenziale. A me è sembrato che questa voce fosse presente in tutta la raccolta (anche dietro i versi brevi) e richiedesse un tentativo di tenere sempre sotto controllo lo stato emotivo nell'intera operazione, come a dire che nella tua poesia - soprattutto nelle tue poesie "civili" - ci sono emozioni ma non emotività. Esse vengono sempre prese nella morsa di uno sguardo british, savoir faire, inscomponibile (penso a Stabilità della fuga) a volte sospeso tra il cinico e il drammatico (penso a quel graziosi fuochi artificiali che chiude Cronaca nera). Sono proprio questi due elementi, la voce e lo sguardo, ciò di cui dobbiamo farci forti nel mondo d'oggi?

AB: Non lo so. Il mio sguardo è quello: talvolta eclettico e ironico, spesso colloquiale, sì, però mai cinico. Duro sulla situazione sociale e umanitaria che stiamo attraversando.
Provo a lanciare delle idee, che sono anche grumi di emozioni. La poesia non è che possa fare gran che, ma nel suo può aiutare a riflettere, forse a spostare lo sguardo, a mettere a fuoco certi aspetti trascurati: del nostro io moderno, della realtà in cui viviamo.
Sulla calma e il controllo di cui parli penso sia dovuto anche alla lunga sedimentazione dei versi passati attraverso riflessioni e molteplici revisioni. Senza alcuna fretta. Allora lo "sguardo british" a cui ti riferisci può essere il risultato di questo raffreddamento degli stati emotivi che comporta, però, un loro intenso approfondimento.

MD: La città è una trappola e il computer un intruso? Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?

AB: Nella città si vive bene, tutto sommato, eppure si soffre molto. In campagna si vive male, si sta troppo soli, non ci sono i cinema... eppure si è quasi felici. Possibile un compromesso?
Con il pc? Prudente, un po' distaccato, ma lo uso spesso, lo sfrutto al massimo, e provo a non farmi usare. Internet, per esempio, è un mezzo potentissimo eppure i rischi insiti nella rete ci sono e vanno visti, analizzati. Questo non significa rifiuto, ma curiosità mista a pignoleria. Non bisogna lasciarsi prendere dalle mode. Tu, per esempio, hai già il tuo blog?

MD: No, non ancora. Dietro la metafora di Zattere i figli si rivelano come la promessa con cui riallacciare un discorso ininterrotto con le tradizioni ma ad ogni generazione questo nesso si sfilaccia sempre di più, e le zattere si appesantiscono.Tu hai due bambini. Quali sono gli autori contemporanei che tramanderai (a parte Brandolini)?

AB: In quella poesia inverto il luogo comune che i figli non ascoltano i padri. Tant'è che scrivo:

I vecchi ascoltano
poco i giovani

I vecchi siamo noi, dal punto di vista dei bambini. Se siamo troppo presi dalla tecnologia, dal vortice delle immagini, e dalla cura eccessiva della nostra immagine, come facciamo, poi, a sentire davvero le cose che ci attorniano, a parlare con calma ai figli, o magari anche con il nostro vicino? E non in modo virtuale, ma concreto. Le faccine di internet non potranno mai sostituire il volto d'un uomo, o un vero e proprio abbraccio. Tant'è che oggi non si usa più abbracciare una persona: se lo fai rischi di passare per un tipo un po' strano... Magari dici tutto su internet: fai un tuo bel sito, apri un blog e confessi le tue frustrazioni, i gusti, i sogni... metti anche le foto mentre vai al cesso o ti masturbi. Tutti ti sembrano amici ("gli amici della rete"), però, nella realtà, non conosci nessuno, né t'interessa farlo. In sostanza ce ne stiamo ben chiusi nelle nostre stanze, diffidenti l'uno dell'altro, anche se comunichiamo e abbiamo sempre i video accesi. Ecco: c'è il rischio che tutto diventi gioco e finzione, che le nuove tecnologie anziché unire frantumino ancor più le relazioni umane
Presto i nostri figli faranno l'amore e si sposeranno via e-mail, faranno un viaggio di nozze nel web e poi divorzieranno (magari per finta) nello show-quiz più seguito in quel momento.
La poesia allora può diventare una specie di trincea per difendersi dal vuoto, per resistere all'approssimazione, alle chiacchiere televisive e telematiche.
Sì, occorre tenere la zattera leggera. Camminare spesso. Magari a piedi nudi, sulla terra. Incontrare le persone e parlarci. Avere il coraggio e soprattutto la pazienza d'aprire un dialogo nuovo con il mondo.
Di autori buoni, anche contemporanei, da tramandare ai figli ce ne sono parecchi, per fortuna, e ce ne saranno sempre. Questo un po' lascia ben sperare.

MD: Cosa ti ha spinto a scrivere Frammenti dopo l'esplosione? Quali sono le implicazioni filosofiche di un noi in poesia rispetto a tanti io?

AB: Tanti Io non fanno un Noi. Ci si frammenta sempre più, ci si frantuma. Ma il noi è esploso perché è esploso prima l'io? può darsi, non sono un filosofo. Certo, a volte si fa fatica a stare assieme, non siamo più abituati e i rapporti umani si sfilacciano, si fanno banali, ambigui, timorosi, schizofrenici, anche. Il sistema di lavoro è cambiato e seguita a cambiare in modo vorticoso, aumenta il precariato che alimenta insicurezza, nervosismo... In fabbrica non c'è più la catena di montaggio, ed è un bene, ma il lavoratore che se ne sta da solo a spingere tasti soffre lo stesso. Forse più di prima, si sente appagato, forse, ma anche più isolato. Non a caso ci si azzanna spesso, guarda tu gli stadi cosa sono diventati! E l'egoismo e l'indifferenza sono in forte ascesa, tirano molto sul mercato...
Per me la poesia è anche condivisione di sentimenti, per questo provo alcuni registri colloquiali e tento d'avvicinarmi a un ipotetico lettore, così da non essere solo. Per ricomporre un io con l'aiuto dell'altro. E tendere a un noi. Necessario, indispensabile. Per la vita, per la nostra terra.

MD: Come mai hai scelto una poesia che potesse parlare anche di cronaca nera, di borghesia mondana, di vita di coppia? Che cosa t'interessava raccontare delle classi sociali romane?

AB: La poesia non deve chiudersi in casa, starsene recintata nei libri. Deve muovere il culo e andarsene a esplorare zone grigie e marginali della vita, della società in cui viviamo, e, contemporaneamente, dell'uomo, di noi stessi (anima? coscienza?). Sporcarsi la faccia, le dita. Stancarsi nelle gambe e nella braccia. La poesia non può essere l'isola felice, il rifugio, l'amaca dove rilassarsi. La poesia per pochi eletti non la concepisco. E allora ecco che provo a raccontare, in versi, ciò che vedo e sento camminando nella mia città, nel quartiere popolare e popoloso di Roma in cui vivo ormai da molti anni. E quindi la fretta, il caos, la smania, il fenomeno dell'immigrazione. La cultura che s'assottiglia, i valori che traballano. La famiglia: una barca sempre più piccola e che perde acqua da tutte le parti. L'ipocrisia, il cinismo e la furbizia che passano per intelligenza e raffinatezza. La terra che soffre, gli alberi che s'ammalano e facciamo finta di niente. Il classismo che cambia faccia, s'imbelletta ma mette radici più salde. L'amicizia che s'impoverisce, che rischia di ridursi a uno scambio, a qualcosa di molto superficiale, che non coinvolge, che ci annoia. Come se i cuori fossero stati sostituiti con perfette micropompe, così da tenere bassa la pressione sanguigna e affaticare meno gli uomini. Come scrivo nella poesia Eczema:

(...)
È divenuto indispensabile, quindi
ripopolare la superficie terrestre
e poi muoversi alla svelta
guarire il fegato, lo stomaco
e, infine, rettificare l'origine
d'ogni problema e cioè
               il cuore
sostituirlo, se necessario
con moderne micropompe
così da evitare inconvenienti
con arterie vene muscoli arti
e gli emisferi cerebrali.
(...)

MD: Puoi darci qualche anticipazione del tuo prossimo lavoro? (magari anche un inedito).

AB: Ecco: estraggo il prezioso materiale dal prossimo lavoro poetico che s'intitola Poesie della terra, che uscirà nel 2004 per LietoColle libri. Aggiungo, in via del tutto eccezionale, qualcosa delle Alterazioni climatiche, una raccolta inedita.
Beh, ringrazio, vi saluto e... fucinemutate bene!

(seguono testi poetici)




dal sito Writers, settembre 2003, di Ivano Malcotti     (inizio)

Intervista ad Alessio Brandolini

La "parola poetica" è aderenza o sintesi fantastica della realtà?

La mia fantasia parte dalla realtà e non si fa mai pura astrazione. Anzi, tende a far ritorno alla realtà.

Nei tuoi versi si mescolano diversi tipi di registri tematici: il colloquio, l'interrogazione esistenziale e la discorsività introspettiva, quanta necessità personale c'è nella tua poesia?

Il registro colloquiale di molti miei testi, anche quelli di tipo più introspettivo, nasce dalla voglia di dialogare con un ipotetico lettore. E questa, per me, è una necessità molte forte, tanto quanto quella d'esprimere (ormai da parecchi anni) in versi quello che sento: una fusione d'idee ed emozioni.

Hai ricevuto un premio di grande prestigio: il "Premio Alfonso Gatto 2003 - sezione Opera prima", con "Divisori Orientali" (2002, Manni Editore). Ti aspettavi un riconoscimento così importante?

Non ero a conoscenza che la mia raccolta fosse stata inviata dall'editore al "Premio Alfonso Gatto". Immagina, quindi, che sorpresa! Anche la serata della premiazione è stata interessante e importante perché ho potuto parlare di poesia e leggere i miei testi nello stupendo teatro Giuseppe Verdi di Salerno, il 7 maggio scorso, davanti a una qualificata giuria e - soprattutto - a un pubblico numeroso e attento.

Ho alcune curiosità a proposito di "Divisori Orientali". La raccolta prende spunto dagli orrori ormai quotidiani che ci vengono presentati dai nostri media?

"Divisori orientali", come scrivo in una nota all'inizio del libro, è una specie di antologia personale di testi composti in un lungo arco di tempo. Questo in considerazione del fatto che dopo la silloge "L'alba a piazza Navona" pubblicata da Scheiwiller nel 1992, con la quale vinsi il "Premio Montale 1991 - sezione inediti", non avevo pubblicato più nulla. Per questo la raccolta è piuttosto eterogenea, fatta di tanti percorsi, di fili che s'intrecciano e provano a tessere un'idea personale di poesia. La televisione (schermi, monitor, video...) è molto presente nei miei testi, e ancor più nella raccolta inedita "Alterazioni climatiche". La televisione, ormai, è diventata il nostro occhio preferito. Un bene? certo, ma può essere anche un gran male. Siamo più informati, conosciamo luoghi e paesi dove non siamo stati e forse non andremo mai. Ma non sempre - o quasi mai - ciò che vediamo corrisponde alla realtà dei fatti. Tutto è abbellito o, anche, reso più duro, in base alle necessità di quel programma. Tutto si trasforma in spettacolo, anche quando si parla di tragedie enormi. E poi ci s'impigrisce: vedo la tivù, gioco alla play, mi collego a internet... e questo mi basta, non ho bisogno di nessuno. Perché uscire di casa? Perché affaticarsi a scoprire il mondo con i propri occhi?

Noto che nelle molte recensioni che ha ricevuto il tuo esordio poetico, la maggioranza dei critici si sofferma con maggior interesse sulle liriche di taglio esistenziale, meno su quelle diciamo "sociali": è così difficile in Italia parlare di poesia di "impegno civile"?

Per fare poesia oggi, in modo serio, ci vuole coraggio. A che serve, in fondo, scrivere versi? Non è una perdita di tempo? Quanto ci si guadagna? Quante copie si vendono? E poi si diventa importanti o famosi? T'invitano per caso nei salotti televisivi? Scherzo, però leggere versi (o parlare di libri) in tivù vale niente e quindi si preferisce, per esempio, l'intrattenimento di chi dà dell'assassino a un giudice che fa il proprio dovere o gli spettacoli di varietà che mettono bene in evidenza tette e culi. Per questo fare poesia in modo onesto - anche se si parla esclusivamente della propria vita, delle proprie esperienze - è già un modo per impegnarsi civilmente. Si va controcorrente, ci si ferma a riflettere, si cammina con le proprie gambe. Lo stesso vale per la lettura di un buon romanzo, o versi che spalancano nuovi orizzonti, che ci costringono a pensare o sentire in modo diverso. Per tornare alla mia poesia: essa vive soprattutto all'esterno, molti testi li scrivo prima nella mia testa camminando nella mia città (Roma), nella zona periferica dove vivo da molti anni (Villa Gordiani, al Prenestino). Vedendo quello che mi accade attorno: i cambiamenti, le trasformazioni che si verificano talvolta in modo repentino. Magari raccogliendo firme per la sistemazione di un parco, di una scuola. A volte il mio occhio è una specie di zoom che s'incolla agli uomini, agli alberi, alla terra, alle cose, eppure questo non mi basta... la descrizione in versi della vita che mi sta attorno (o dentro) non mi fa sentire meglio, non mi appaga, non mi esalta... La poesia è gioia, sì, eppure può essere anche dura sofferenza. E' togliere di mezzo gli schermi, i divisori: scoprire una realtà feroce, l'ipocrisia che c'è nell'uomo, e quindi anche in me, i pericoli gravissimi che stiamo correndo mirando al nulla, alla superficialità, al pensiero minimo, alle chiacchiere televisive, al successo, alle "guerre preventive"...

Nella quarta di copertina con molta precisione Giovanna Zoboli ti indica come un turista volontario. Che tipo di viaggio è la poesia? dove ti ha condotto la poesia?

E' un po' il seguito di quando dicevo nella risposta precedente. Scherzando dico sempre che un buon poeta deve essere prima di tutto un buon camminatore... non a caso Giovanna Zoboli è una ciclista infaticabile. Non mi convincono molto i poeti che fanno tutto in casa, nel proprio studio, che non parlano con nessuno altrimenti perdono tempo, che spremono versi sapientissimi da altri sapientissimi versi. Per me la poesia è legata all'uomo, alla terra, al paese e alla città dove si vive, alla vita quotidiana... Un poeta è un Ulisse in cerca di nuovi mondi, diversi da quelli che conosce, al di là del suo mondo o calato nel suo mondo per esplorarlo in profondità. Questo lo si può fare anche stando appartati, penso alla grande Emily Dickinson: dipende da come ci si pone davanti alla vita, alla realtà e, poi, di conseguenza, di come si fa poesia.

Cito letteralmente, sempre la quarta di copertina: "I Divisori orientali sono una guida in versi per turisti che a casa non sono più tornati", da cosa fugge Alessio Brandolini?

Quando si viaggia con un po' d'attenzione, e a volte basta solo una passeggiata intorno al proprio quartiere (non occorrono mica viaggi costosi e posti lontanissimi ed extralusso! Vedi, per esempio, La passeggiata di Robert Walser...), si possono scoprire tantissime cose. Quindi difficilmente, se queste cose ci toccano, si torna "a casa" come prima, come se nulla fosse stato. L'indifferenza che domina i nostri tempi è anche una necessità difensiva: è la corazza che ci protegge da noi stessi e dagli altri, dal mondo, da una realtà sgradevole, dalla paura di cambiare, di conoscersi a fondo. L'indifferenza trasforma l'uomo in una statua di ghiaccio che non si scioglie nemmeno sotto il sole dei tropici, in un uomo cieco, e questo può accadere pur stando in movimento, perennemente in vacanza.

Nella poesia "Testimone oculare" parli di fatti importanti della Storia, sotto i flash. Quanto sono imbavagliati questi flash? Siamo di fatto sotto l'assedio orwelliano del grande fratello?

I mezzi di comunicazione sono una grande ricchezza per l'uomo... che si può trasformare in una grande minaccia: quella di vedere tutto e non capire più niente. Ho conosciuto persone commosse fino alle lacrime davanti alle immagini di attentati trasmesse ripetutamente dai tg (fanno molta impressione e, quindi, audience) che però usano scantonare con durezza clochard in cerca di qualche spiccio... o chiedono che la marina affondi a cannonate le barche piene di uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra o dalla fame...

Che ruolo può avere la poesia nella realtà contemporanea?

Non esalto la poesia, se lo facessi cadrei in una trappola mortale. La poesia è tutto, potrei pensare, allora mi (ci) salva: ecco quindi il mio (nostro) bel rifugio, l'orticello da coltivarsi stando appartati. No, meglio non esaltarla troppo. La poesia può essere una trincea, un punto d'appoggio per resistere al vuoto, alla superficialità che dilaga ovunque, questo sì. Per poi magari provare a rilanciare dei valori che, in fondo, sono gli stessi che hanno permesso all'uomo di procreare e progredire: la fratellanza, l'amore per tutte le cose che vivono, il rispetto profondo e sentito per il nostro pianeta.... Questo lo si può fare solo se i poeti non esaltano se stessi e la poesia in generale. Se si sforzano di diffondere l'amore per la cultura, la conoscenza, la lettura, l'approfondimento. Se fanno poesia in modo coraggioso e, senza boria e invidie reciproche, la promuovono ovunque sia possibile. La poesia fa riflettere, riscalda, accende il cuore, la mente, lo spirito. Spinge a ragionare con la propria testa, a sentire le cose con i propri sentimenti... a usare i propri occhi e non quelli della televisione. La poesia, in fondo, è un invito alla ribellione.

Nella tua poesia c'è ricerca linguistica e contenuto; allora possiamo sfatare la stucchevole domanda, contenuto o parola?

Il contenuto non esiste senza parola, senza linguaggio. Ma cos'è la parola senza contenuto?

Il tuo prossimo impegno con la poesia?

Nel tentativo di essere coerente organizzo nella mia città, soprattutto con il gruppo "I LIBRI IN TESTA (vi invito a fare un salto sul nostro sito: www.geocities.com/ilibrintesta), reading e incontri letterari. Il prossimo impegno con la poesia è una cosa che mi riguarda, ma come componente di questo gruppo che ama "leggere a voce alta". Il 27 settembre, presso l'Antica Libreria Croce di Roma, "I libri in testa" proporranno un incontro che ha come titolo "LA CITTA' IN VERSI (...Until We met the Solid Town...)". Leggeremo testi di poeti che parlano della loro città, avremo degli ospiti, coinvolgeremo il pubblico con le nostre letture, rifletteremo insieme sul significato della poesia, dei versi che parlano (o urlano) della vita urbana: Emily Dickinson, Giuseppe Gioacchino Belli, Vittorio Sereni, Giovanna Zoboli, Rainer Maria Rilke, Sandro Penna, Pier Paolo Pasolini, Trilussa, Umberto Saba, Mary Barbara Tolusso, Vladimir Majakoskij, Umberto Fiori, Costantinos Kavafis, Mario Santagostini, Durs Grunbein...


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