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dal mensile Fermenti, anno XXXIX, maggio 2010, di Germana Duca Ruggeri (inizio)
Alessandro Brandolini, Tevere in fiamme Poesia di natura lavica, come l’ossatura dei colli laziali, circola nelle pagine (poco più di cinquanta) di Tevere in fiamme, opera sesta di Alessio Brandolini, fresco vincitore del Premio Sandro Penna. Ma il libro si può pure sfogliare come poema di cieli e acque diverse, di confluenze ossimoriche, considerato il percorso del poeta romano, nativo di Frascati, ora sulla soglia della maturità, non solo anagrafica. Egli, dall’esordio con L’alba a Piazza Navona (1992, Premio Montale per l’inedito) sino alla creazione della rivista web Fili di aquilone, ha rivelato un talento originale che, senza nulla togliere alla sua indole orientata al sogno e all’introspezione, gli ha permesso di mettere a confronto linguaggi diversi, offrire e accogliere collaborazioni, dare concretezza alle idee, uscendo dai cànoni, – “io sto con gli sguatteri della poesia” –, entrando da servitore della scrittura nelle opere dei contemporanei.
Nel paesaggio saldo e assoluto delle rovine che ci rotolano addosso oggi trovo un canto e ti vengo incontro (se posso, se me lo permetti) negli occhi la luce sfibrata ma tenera di Roma sulle spalle le pietre del fiume. E questa voce che alla tua s’affianca. La prossimità a Montejo si manifesta anche in fondo al libro, nel disegno a china, Passaggi, di Stefano Cardinali, che depone lungo le anse del Tevere visioni di Roma e Caracas, fra arte e natura sapientemente mescolate. Quasi a riepilogo dell’identificazione filiale di Alessio col poeta scomparso, col suo lessico di base (bastino “savana”, “tropico”, “neve”, “nuvola”…), in piena sintonia di sentimenti, entro smarrimenti e talora stupefazioni:
con dolcezza porta via la pelle e i grani del rosario. Dà fuoco alla città e al bosco. Guarda: Una volta iniziato il cammino nel tempo e nello spazio – “Di notte la vita ha frammenti di bellezza / nascosti nelle voci suadenti delle foglie / quando si staccano dai rami e lente / planano sull’asfalto, sui sacchi d’immondizia. // Da qui vedo il paese, in alto sulla destra / lo stesso che ha scolpito questo cuore / fitto d’oscure macchie e pietra grezza / che cede alla polvere i petali della sua pigrizia.” –, Alessio Brandolini, che ne Il male inconsapevole (2005) faceva a brandelli se stesso e gli altri, si muta nel sarto che si cuce gli occhi e la bocca, nel contadino che pota a occhi chiusi il ciliegio, nel custode del campo paterno; dialoga coi pesci tropicali, ascolta le stelle e le cicale, ama.
Nella seconda sezione del libro, Zattere d’acqua (dal titolo dell’ultimo dei sette testi prosimetri che la compongono) il paesaggio metropolitano diviene fondale di consapevolezze amare e meno amare, individuali e collettive. Ecco allora il sogno d’amore infranto “nello stagno urbano dove persino il pesciolino rosso, in origine il più tranquillo, fa di tutto – ingurgita vitamine, va in palestra, dimentica figli e genitori, – per trasformarsi in un possente squalo.”; o la constatazione che “non possiamo bruciarci l’anima, il cuore, le dita per poi spalancare le porte al Nulla”. Specie se ci è dato di vedere la bellezza delle vite nuove: “mi snodo solamente se osservo (con rapita attenzione) le mani dei figli, i titubanti ma generosi sguardi e il mondo si tiene nei loro sorrisi, ormeggia nei loro occhi.”.
Alessio Brandolini, Tevere in fiamme Conosco per la prima volta il poeta romano Alessio Brandolini a Città della Pieve nell’ottobre 2009, in occasione del premio “Sandro Penna 2009”, che lo consacra vincitore con il libro Tevere in Fiamme (la sua quinta “prova scritta”) che fa seguito alla raccolta Mappe colombiane (LietoColle, 2007). Nell’occasione ascolto la tranquilla voce, appropriata al momento agiografico, mentre parla dei suoi interessi per la letteratura ispanoamericana e di Fili d’aquilone, rivista web di “immagini, idee e Poesia” che ha ideato e dirige dal gennaio 2006 (e a proposito di questa rivista Elio Pecora lo ringrazia pubblicamente, perché oltre a scrivere poesia Brandolini divulga e incoraggia la poesia degli altri). Seguo Brandolini mentre legge i suoi lunghi versi con viso severo, concentrato, lo sguardo profetico ma ben presente al reale.
nascosti nelle voci suadenti delle foglie quando si staccano dai rami e lente planano sull’asfalto, sui sacchi d’immondizia. La città (il centro e la periferia), pur soggetta ad ogni tipo di violenza (traffico, smog, rumori, cinismo...), riesce a proteggere isole di purezza, a trattenere ricordi di infanzia: “Da qui vedo il paese, in alto sulla destra/ lo stesso che ha scolpito questo cuore/ fitto d’oscure macchie e terra grezza/ che cede alla polvere i petali della sua pigrizia”. Il desiderio di abbandonarsi alla natura prima di perdersi : “perché la bocca ha le sue aguzze spine/a sigillare i ricordi, i fiori carnosi della savana”. Questi inconsueti fiori (anche in altre poesie troviamo lampi di paesaggi esotici) ci riportano subito all’esergo e alla dichiarata “paternità” di Eugenio Montejo da parte di Brandolini: “La poesia cruza la tierra sola,/ apoya su voz en el dolor del mundo”. Il grande poeta venezuelano, deceduto nel giugno del 2008, è l’invisibile Virgilio che lo accompagna in questi percorsi dell’esistenza e al quale poeta romano rende omaggio dedicandogli esplicitamente l’ultima poesia della sezione, come l’epistola di un figlio a un padre:
Nel paesaggio saldo e assoluto delle rovine che ci rotolano addosso oggi trovo un canto e ti vengo incontro (se posso, se me lo permetti) negli occhi la luce sfibrata ma tenera di Roma sulle spalle le pietre del fiume. E questa voce che alla tua s’affianca. Bellissimi, ultimi versi del poeta Brandolini che si affida, quasi si appoggia, all’ombra (alla voce) del maestro sudamericano che questi versi aveva letto quando furono pubblicati la prima volta su Fili d’aquilone nel marzo 2007 (“Tevere in fiamme: 20 asterischi per Eugenio Montejo”).
SULLE FIAMME
QUANDO IL TEVERE BRUCIA Che cosa c’entra il Tevere con le derive d’occidente, a parte il suo essere fiume-simbolo dell’ovest planetario? C’entra proprio grazie a questo a-parte, a questo suo rappresentare simbolicamente il vecchio occidente. Alessio Brandolini, romano d’azione, ma nato nei luoghi del Latium vetus dai quali è germinata l’Urbe, si interroga ancora una volta su Roma nella sua ultima raccolta, Tevere in fiamme (Azimut, 2008), edita da un editore molto attento ai fermenti culturali di quest’area.
coi professori-poeti e i poeti di professione, io sto con gli sguatteri della poesia. tornare all’ombra tangibile, allo scarto di se stesso, alle menzogne sincere, al tagli della mano e carne, lingua e naso. alla verità impudica che sanguina persino sui manifesti pubblicitari. (pag. 47) È, come si vede, una sorta di elogio dell’ombra: l’impero sta cadendo, i neobarbari dilagano, ritiriamoci nell’abbraccio con la semplicità.
colombiane. Entrare adagio ma forte e a lungo nel tuo corpo. Pensaci bene: non startene chiuso altri tre decenni nel ghetto medievale del paese. In fondo sei un figlio e padre dignitoso.
A volte da bambino, dopo il lavoro, giocavi persino a carte.
Non è facile abbandonare l’occidente della città, perché nasconde i “frammenti di bellezza” di cui parla il primo verso della raccolta. Ora – per Brandolini come per molti altri – la bellezza non è solo una forma fine a se stessa, ma l’immagine di una sottile corrispondenza che manda inquietanti bagliori dal sottosuolo metaforico di una città che brucia lentamente. In questa continua contraddizione tra il “fare le valige” e il rimanere risiede la singolarità e il fascino di Tevere in fiamme.
Tevere in fiamme, l’ultima raccolta di Alessio Brandolini (Azimut 2008, 60 pagine, 8 euro), “è un intenso e teso dialogo con Roma, con se stesso e con la poesia”. Negli occhi del poeta “la luce sfibrata” della città apre immagini di una quotidianità attraversata da molte cose: la vita familiare, i viaggi e le memorie, i poeti letti e amati, come il venezuelano Montejo, a cui l’autore dedica una bella pagina.
La fiamma e la cenere. Riflessioni sull'ultima raccolta poetica di Alessio Brandolini "Tevere in fiamme" Leggendo con attenzione l'ultimo lavoro di poesia di Alessio Brandolini non possiamo fare a meno di notare l'assoluta discontinuità con le precedenti raccolte. La voglia di rinnovarsi stilisticamente e nei contenuti conduce il poeta ad addentrarsi in percorsi sempre nuovi che, se da una parte spiazzano i lettori abituali, dall'altra stimolano ad ampliare gli orizzonti e le prospettive della ricerca poetica. L'unica costante dell'e ultime opere di Brandolini, da Poesie della terra (2004) a Mappe colombiane (2007), finanche alle sue composizioni in prosa, è l'impegno sociale. La coerenza etica e civile, di matrice pasoliniana, sembra essere l'unico elemento comune che cuce e salda i vari testi. La poesia Largo Preneste, tratta da Il male inconsapevole (2005), o la novella Fumo a piazza dei Mirti, tratta dalla raccolta Roma per le strade (2007), portano direttamente al mondo letterario (ma anche cinematografico, basti pensare ad Accattone) di Pier Paolo Pasolini, quello delle borgate romane, della povertà e della fame, del disagio e del dolore, della distruzione e dell'annientamento che può precedere la rinascita. Così anche l'ultimo libro di poesia, Tevere in fiamme (Azimut, 2008), rievoca nella forma e, in parte, nelle tematiche, il mondo poetico pasoliniano. Addirittura il titolo sembra complementare a quelle Ceneri di Gramsci, capolavoro poetico di Pasolini, che a metà degli anni cinquanta sconvolse il mondo letterario italiano. La fiamma e la cenere sono metafora di purificazione, di disintegrazione che anticipa il risveglio, di nuova vita, di ossimoro vivente che si incarna nella città eterna. Se Pasolini utilizzava una lieve trama per inserire elementi autobiografici, riflessioni politiche e ideologiche, descrizioni fortemente pittoriche del paesaggio periferico romano (le zone abitate dal sottoproletariato urbano che per lui era ancora genuino e non corrotto dal capitalismo e dalle sue mode), Brandolini utilizza la sua voce jazzistica per melodie impreviste e sincopate che tracciano percorsi lacustri e/o "in fiamme", panorami urbani e campestri che si fondono nella memoria collettiva. Il poeta romano tesse un intenso dialogo con se stesso, con la poesia (personale e quella del poeta venezuelano Eugenio Montejo) e - soprattutto - con Roma e, a ritroso nella memoria, con le proprie origini familiari (nonni, genitori, fratelli, figli...), i Castelli romani, il paese medievale (Monte Còmpatri) dove l'autore ha vissuto i primi vent'anni. Probabilmente Brandolini è più ottimista del suo modello, più convinto della funzione riparatrice della poesia, della sua "follia non infetta, / né falsa e inquinata". Così Roma e il suo fiume in fiamme (già Il male inconsapevole conteneva un testo intitolato "Acqua in fiamme") si trasformano in sottile metafora esistenziale, ossimoro vivente di una civiltà che da un lato mostra la sua opulenza, la sua forza consumistica, dall'altro nasconde sotto il tappeto i suoi mali e le sue fragilità, gli emarginati e i sofferenti, i vuoti di conoscenza e di memoria. Non a caso i continui riferimenti ai cartelloni pubblicitari che esaltano l'immagine patinata, il bello artificiale, l'effimero e il superfluo, e nascondono i palazzi rinascimentali, le piazze barocche, le antiche vestigia romane: la Storia antica e recente. Se dal caos primordiale si genera la scintilla della vita, il fuoco è energia generatrice, mai solo distruttrice:
Farsi audaci e camminare a naso, in punta di piedi sulla lava in sosta sotto il fiume e quella indurita dai millenni che ha dato il profilo ai Castelli romani, ai colli ricoperti di boschi e vigneti all'azzurro incavato dei laghi d'Albano e di Nemi. (pag. 14) Il mondo si rigenera dal fuoco e con il fuoco, il fiume Tevere sta alle fiamme come l'Eros sta al Tanatos, l'amore passionale alla morte. Ovviamente c'è uno slittamento al fantastico e al surreale quando il poeta si rende conto che il suo denso e incandescente fluire poetico contrasta con la fredda realtà: c'è il bisogno e la voglia di cambiare le cose, di riparare ai torti, di sedare i conflitti, di spostare confini e sponde, di "farsi audaci" per non lasciarsi annientare dalla distanza, dall'abisso tra utopia e realtà:
A volte osservo ad occhi chiusi come avrei voluto che fosse il mondo e ascolto il triste scoppiettio del forno annuso e sfioro con le dita il pane bianco a lievitazione naturale i decenni spesi (e ormai persi) a farsi del male a scagliare parole di sconforto sulle navi in fuga d'Ulisse. (pag. 17)
Non voglio seppellirmi in fretta anche lo stomaco richiede la sua parte di stelle e animali che gracchiano nel cervello. È la solita storia, dirai, farsi a pezzi con un'accetta per poi rinascere fusto possente nel bianco della neve. (...) (pag. 22) Ecco, distruggersi per poi rinascere nel bianco della neve, nel bianco del pane a lievitazione naturale, risorgere dalle ceneri così come auspicava Pasolini di fronte alla tomba di Antonio Gramsci: "Lì tu stai, bandito e con dura eleganza / non cattolica, elencato tra estranei / morti: Le ceneri di Gramsci... Tra / speranza / e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato / per caso in questa magra serra, innanzi / alla tua tomba, al tuo spirito restato / quaggiù tra questi liberi. (O è qualcosa / di diverso, forse, di più estasiato / e anche di più umile, ebbra simbiosi / d'adolescente di sesso con morte...)".
oggi trovo un canto e ti vengo incontro (se posso, se me lo permetti) negli occhi la luce sfibrata e tenera di Roma sulle spalle le pietre del fiume. E questa voce che alla tua s'affianca.
Si accende un fuoco testuale. È Tevere in fiamme, nelle Edizioni Azimut, di Alessio Brandolini. Sono segni di tracciati del vivere, carte che segnano una fluida geometria insieme precisa e fantastica. Qui si percorrono le mappe albali della civiltà e il dolore che segmenta l’esistere mentre la descrizione attinge al ricordo. In ricca polifonia nasce e si dispiega la visione, come la sillaba, si trovano quotidiano e storia, si accende i dialogo con Roma e con l’io autoriale: “Agli occhi appenderò la rabbia / non mi chiederò se dormo o son desto”.
Alessio Brandolini: Tevere in fiamme Con Tevere in fiamme (Azimut, 2008) Alessio Brandolini giunge alla sua sesta raccolta, dove si accentua la componente visionaria e fantastica, ma a partire da una base concretissima (e anzi addirittura ‘politica’), già presente in molti testi precedenti. Si potrebbe parlare di realismo magico o di real-meraviglioso, riprendendo la nota formula applicata alla letteratura sudamericana così cara all’autore. In effetti, lo slittamento di tipo fantastico-surreale è ben presente in quasi tutti i componimenti, caratterizzati da un’effusività e da una fluenza da discorso ininterrotto; tuttavia, quasi sempre il fluire poetico nasce da un innesco (come direbbero i neurobiologi e i linguisti) decisamente contingente, come quando l’io si accorge di aspetti della realtà più banale che però sembrano distruggere la sua coerenza di persona (si veda, a titolo di esempio, Grandinata di parole sparate dal silenzio).
Quello non era un sogno ma realtà spalmata nello sguardo con la camicia sudata e le scarpe sprofondate nel fango, i tacchi sbattuti sulle pietre consumate dal cammino e dal suo esatto contrario. La nuvola che sorvola i giorni lesta arpiona i sogni con dolcezza porta via la pelle e i grani del rosario. Dà fuoco alla città e al bosco. Guarda: Si possono quindi seguire vie non battute, si possono sognare eventi che cambino il corso di una vita e di un intero periodo storico.
Si arriva all’intersezione con la prosa nella seconda e conclusiva sezione della raccolta, Zattere d’acqua, in cui echeggiano ancora ricordi di temi cari agli autori sudamericani (l’incipit del testo eponimo, per esempio, sembra riprendere spunti di un João Guimarães Rosa), con una ancor più accentuata tensione verso l’estremo, come in Notte illuminata a giorno. Ma interessanti risultati sono raggiunti anche quando gli squilibri tendono a smorzarsi, e la rievocazione si arricchisce di toni quasi colloquiali, come nella validissima Ci provo da sveglio.
1.
... hai gli occhi imbrattati di un rosso
2.
Ora sto faticando ad aggiustare un sogno onesto Questa recensione è uscita in contemporanea sul sito culturale "il sottoscritto", con il titolo "Lo slittamento fantastico".
Alessio Brandolini: Tevere in fiamme
Le poesie di Tevere in fiamme (Azimut, Roma, 2008, pagg. 63) sono percorsi dell’esistenza, mappe lacustri, fluviali, marine (oltre al Tevere, il Circeo, e i laghi laziali), fin su per i Colli Albani. Una voce jazzistica vibra in forma sinuosa, entra nella vita di ogni giorno, nelle origini della nostra civiltà greco-romana e nel dolore che attraversa il mondo. Una geografia dove il paesaggio si fonde alla memoria –personale e collettiva – e a questo Tevere dantesco. I versi percussivi di Alessio Brandolini incitano a proseguire, a non adagiarsi, adeguarsi, ad affrontare il viaggio, i ruderi della storia e gli aspri conflitti d’inizio millennio. Tevere in fiamme è un intenso e teso dialogo con Roma, con se stesso e con la poesia (la propria e di altri, come quella del venezuelano Eugenio Montejo), è un flusso poetico di vibranti e incandescenti visioni. Il libro, oltre a comprendere la sezione eponima Tevere in fiamme, racchiude anche un’altra parte intitolata Zattere d’acqua.
Da qui vedo il paese, in alto sulla destra Il fischio vibrante delle canne è spronato Ora mi lascio sfoltire dall’erba Ovviamente il paese che viene detto è Roma, città importante per il poeta, al punto da scolpirsi nel suo cuore. C’è un chiaro pensiero ai territori sconvolti dalla guerra in questo inizio di millennio. L’io-poetante, in questo scenario della storia, è un osservatore di ciò che accade al di fuori di se stesso e, nel medesimo tempo cerca per salvarsi una fusione totale con la natura, fusione che gli faccia percepire una realtà soggettiva più accettabile, più a misura di essere umano: in questo intento si fa sfoltire dall’erba e con gli occhi chiusi pota i ciliegi anche se l’esito delle ferite è il frutto che ci afferra…
Una forte inquietudine traspare da questi versi e il fiume, il Tevere, altrove in fiamme, qui viene tagliato in due dall’oceano dei liquami (fa capolino dunque anche il tema ecologico). Sembra che l’io poetante con una cinepresa virtuale riesca a captare, probabilmente, nel folto delle notti, accadimenti e scene che non avvengono solo nell’amata Roma, ma anche in altri luoghi della Terra; il suo essere viene trasportato nella savana dal verde profumo o ai tropici dove, paradossalmente, fa freddo.
Emblematici questi versi citati per il loro contenuto romano, quando il lettore viene calato in una Roma contemporanea, con il sindaco ecologista e i dannosi gas di scarico: c’è il tema dello scrivere nello scrivere, della poesia nella poesia, nell’incipit Grandinata di parole, inizio che sottende tutto il componimento perché esso stesso composto da sintagmi, parole. Riuscito e ben risolto questo testo di Brandolini, che soprattutto emerge per la sua originalità tematica e formale.
Non ci sono nuovi rifugi Anche in questi versi troviamo la tensione e l’inquietudine del poeta, che si stempera nell’erotismo, anche qui la presenza della notte con l’ansia di essere in grado di godere d’un altro giorno; c’è rabbia in questi versi, ma la tensione si fa salvifica in se stessa, nel controllo formale ed emotivo, in un salutare esercizio di conoscenza.
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