IL MONDO ACUMINATO DI BRANDOLINI
Il libro è ordinato dentro due grandi parentesi di rose: “Così le immagini / assillano di meno /delle rose rosse / bruciate dal dolore” (pag. 11) e “distoglimi dalle parole che fanno rumore. // Non dalla rosa che si spoglia /dalla strada suggerita dal corpo / dichiarato inadatto a percepire / la vita che fluisce in una spina” (pag. 72).
Fra queste due parentesi di controverso argine del male, si snodano i diversi livelli di una narrazione del dolore, privato e collettivo, che non sa rendersi capace, in nessun suo punto, della ragione che l’ha generato.
Ci sono pagine di diario, abbozzi di racconto, episodi lirici, c’è la capacità di passare da un piano all’altro con la naturalezza e la franchezza di chi sente di aver perduto tutto.
Il male, sembra di capire, è una grande calamita: ne sono attratti gli errori dei singoli e le colpe della società, la mancate integrazioni e le disintegrazioni ne disegnano i confini, che non cessano di allargarsi.
Il male, in ogni caso, è piccolo punto di fede inconsapevole, per il quale si è puniti con la consapevolezza del dolore. Alla fine, il male non si potrà amarlo: l’inconsapevole è anche l’inevitabile, e in ogni sua sfumatura. Il male non ha peso, e Brandolini alleggerisce via via le sue pagine caricandole di tutto il male che può essersi fatto per un amore, per l’amore, insostituibile.
Queste poesie, infine, sono i teoremi di una malattia. Il marcato cerebralismo di certi snodi (“Nella casa mentale l’ordine sovrasta il pensiero / il letto è il chiodo trafitto dall’ombra dei cuori”, pag. 62) serve per fissare il foglio su cui si scrive e si disegna, per paura che il vento porti via il dono, diventato così prezioso ed essenziale, del dolore.
Il mondo diventa acuminato: chiodi e spine, ogni trafittura penetra, inocula, ma non fa uscire il flusso di sangue che farebbe scendere i valori della pressione. Che resta alta, ma sotto controllo. Altro non si può fare, non c sono interventi chirurgici risolutori, non c’è una terapia palliativa. In fondo, ci si trova di fronte, persino a letto, un simulacro di morte che, a ragione, ha più ragione di esistere di quanto gli vive intorno (v. L’ospite, pag. 63).
Si vive soltanto sopravvivendo, chiamando a sé le parentesi profumate di cui dicevamo all’inizio: “la sospensione / della paura” mette il dolore fra parentesi.
((mater)
L’azione imprevista dell’onda annulla la fermezza del silenzio più simile alla morte che all’erba cresciuta sui lampioni delle strade.Al mare le ore procedono meglio ci si ricopre di salsedine si mettono le pinne in pochi minuti si sta fuori dal deserto. Così lo spazio bianco non finisce nel pozzo dell’inchiostro prova ad allungarsi verso il meridione a infilare i sogni nelle tasche del vento. La strategia del sonno isolata nel vuoto presa all’arpione sottratta alle tenebre è la nostra memoria ripulita dal rancore. Così le immagini assillano di meno delle rose rosse bruciate dal dolore.
QUASI UNA LAGUNA
Qui non tornerò più. Lo ritrova scolpito sulla pietra affilata che lenta rotola giù per la calle allagata. Sono piedi e mani a reclamare la voglia d’esistere e non stare bloccati sul ponte tra persone distanti che non si conoscono a scrutare barche affossate all’orizzonte.
Né passione né lotta si procede, si aspetta nemici quasi innocenti il cielo oggi è una festa rallegrata dagli uccelli l’acqua rotola intorno per questo i muscoli delle stelle e della luna s’ingolfano di luce sfocata e sprovveduta. Però: ti amo, pensa, e vorrebbe non essere odiato se non lo dice.
LIBERA USCITA
Dopo anni di galera gli occhi si rimettono in moto e fanno vedere giovani donne dal seno poderoso scavalcano il buio la siepe l’erba il prato ci s’imbatte in un uomo: un padre, forse e l’ombra che l’insegue. Lui non era sul conto non è stato il frutto, ma il risultato del freddo polare, quello che forma strati d’aria per arrampicarsi e finire lassù dove il panorama sconforta e allo stesso tempo innalza in risposte oneste, altrimenti il buio vizia e il mondo squarta la pelle diventa colla o sudore che intacca le dita il metallico bosco delle gru e delle scavatrici confonde le strade sicure e il giorno che si rilassa. Sono mesi che il tuo rude disprezzo rinforza il disagio allora meglio saltare il fosso, sì, l’ultimo che resta o remare controcorrente nel rumore sordo randagiare per ore e non smettere di mentire, zufolarsi all’orecchio parole oscene di libertà e leggerezza. Così che la barca possa un giorno riprendere a navigare e la rotta sia pure la più ingenua: tanto se andrò a fondo farò del male solo a me stesso a una parte irrilevante del mondo.
QUELLO CHE NON MERITO
Dentro di noi ci sono i pali delle luci e i segnali abbattuti dal freddo polare mi tendi la mano a uncino e io l’afferro mi sollevo appena sulla punta dei piedi. Più in alto trovo la sabbia e l’allegra fila delle orme degli uccelli: la scrittura insonne, vibrante nel rosso delle rose nelle vene che scoppiano sulla fronte nei segni dell’abbandono, delle spine e sotto i cavi ghiacci perché uso il male come un piccone, un martello pneumatico vado a fondo nella carne (la mia, la nostra) porto via il fegato, i polmoni, il cuore. Quello che resta degli occhi
DICEMBRE 04
Atolli sommersi dall’acqua marina scompare la terra, scompare la vita. Quando si nasce, si sa si è già come morti per questo nel manto verde dei sogni poi non ci sono più foglie, né spine. Quello che non capisco è come mai la tragedia attira soltanto gli occhi. non resterà nulla di questo istante, nemmeno l’odore delle rose. per questo frulli via la lingua e la musica e quest’aria incosciente e assassina che ci lascia respirare è cristallo smerigliato. sguardi innocenti raggirano l’occhio, lo scavano nel bianco della pupilla, con un cucchiaio lo estraggono dal fondo del bambino, lo strappano dal ventre dell’adulto che mangia se stesso per nutrirsi e sopravvivere. il cielo è uno strato duro e liscio sotto i piedi, riflette il bene come se fosse il male e l’azzurro del suo sguardo come se fosse il buio d’un amore appeso al sottili ganci stellari. poi ci assale la notte, divora il silenzio e alla terra fa molto male. È l’inferno. Dopo l’acqua ritorna nella solita culla e riposa per giorni. Che dormano in pace i morti sepolti!
CON LE LABBRA CUCITE
Ho portato le labbra da un calzolaio l’ultimo della zona a indossare sempre un camice di cuoio imbrattato di lucidi d’ogni colore. Me le ha cucite per bene con un ago speciale tanto che il dolore era davvero insopportabile e il filo d’acciaio appena si vede così per non parlare avremo la scusa buona potremo starcene per sempre muti. Il sangue uscito era d’un rosso scandaloso di foglia autunnale con il canto strozzato in gola rauco per via degli alberi e degli uccelli abbattuti. Ora la poca terra che rimane è quella d’un parco sfrondato con qualche gioco per stanchi bambini tipo un’altalena dalla vernice scrostata un’antica pedana per fare qualche salto. Altro dovrei dire visto che posso scrivere ma non parlare per questo aggiungo e finisco il discorso: domani porto le mani – queste mani che puoi vedere – a un bravo falegname per farmele smussare assieme al naso così la smetto di respirare perché non voglio galleggiare nell’assenza nel vuoto totale: oh, dolci le labbra cucite dal calzolaio che indossa il camice di cuoio!
IL PERCORSO DIMENTICATO
Una persona scomparsa in un numero nel dato statistico. Aggiorna il nulla forse avvertito al momento del parto. Mutarsi in fiore nell’antro dell’infinito. Pessima idea, la tua, di pungermi e nascondersi. Far finta che il male si celi nelle immagini convulse proiettate sulla superficie del bene. Per questo ti suggerisco la sospensione della paura: mannaia dei tuoi capelli del collo e della luna. Scioglimi le nudità distoglimi dalle parole che fanno rumore. Non dalla rosa che si spoglia dalla strada suggerita dal corpo dichiarato inadatto a percepire la vita che fluisce in una spina.
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