dalla sezione COSTELLAZIONI
1
È già notte e il pallido chiarore lunare fonde la corteccia dei noci che da qui si possono solo intravedere, svelto lo sguardo vaga per conto suo in cerca di luoghi solitari di spazi dove fuggire e afferrarsi, di nascoste costellazioni che spiano gli ululati della Terra. Il buio di faville stellari è già un miracolo. L’ansia s’inarca, scorre un groviglio di stelle l’invisibile movimento di altri sistemi solari. La luce sgrana le tenebre, dilaga l’effluvio dell’erba e il buio deflagra allo schiudersi del giorno. Nel plumbeo cielo di Roma il vento si blocca e piccoli esseri filiformi planano sul tetto: stanchi crollano all’istante pensando ai pianeti in fuga, ai lupi da accudire. All’alba corrono allegri sui palmi delle mie mani.
dalla sezione GERMOGLI NEI GROVIGLI
Stavo per essere giustiziato e ridevo sussurrando al boia: «Fai presto amico, agisci come se l’io non ci fosse». Sotto la forca le gocce di sangue germogliavano al buio. All’alba il nodo scorsoio stretto al collo ti rese più vivo.
dalla sezione L'ALTRO E L'ALTROVE
La luce viene dal buio, non c’è conflitto senza l’incontro. Scendi, sali più in alto e il vuoto copre le macerie, chiude le zone esplorate, i rari giorni nella culla. Da più di trent’anni lavori senza guanti strappi chiodi coi denti, usi la lingua per schiudere un varco tra gelo e neve un’esistenza estesa al mondo e all’altro. Che splendida bocca piena di labbra di lividi e rimorsi, di pezzi del mio corpo! Da Saturno riflessi d’oblio, nello sguardo le cavità del rosso: la fame di vita, la folle voglia di fughe e d’un lento percorso. Tra lettere e vecchie foto trovi le prove: finestre appostate a spiarci, impronte sull’acqua, un mare fra l’altro e l’altrove.
dalla sezione CHIAMO DA UN ALTRO PIANETA
I varchi del silenzio
I primi mesi sono stati pesanti, poi l’erba cosmica ha avvolto detriti, rampe, ora semi bucano la polpa. Tempo di potare a corto: salgo e trovo la voragine l’isolamento espanso. Due parole per l’ottantesimo compleanno, la terra in sonno e partendo non basta un abbraccio. Radici vorremmo portarci dietro le fibre della nostra specie. Il buio curva gli ulivi assorbe i frammenti di luce tirando calci alla ghiaia. Nel rifugio innalzato a morsi, nel fango degli addii festa dello sguardo trainato dai varchi del silenzio. Sulle pareti i ritratti, con gesti rozzi abbiamo scalfito l’origine porosa della nostra specie. L’ansia è la stessa: sbagliare e squarciarsi il fianco. Le finestre aperte permettono di sentire il giardino di ricordarsi che fuori è tutta un’altra storia. Col becco l’usignolo indica un campo incendiato mani di tagli. L’acqua i fiori il vento i lupi la levità delle foglie, delle placide nubi che strappano chiodi. Squilla il telefono e nessuno risponde, solo grugniti tra noi e chi nella casa ha vissuto i suoi divisi giorni.
dalla sezione L’OMBRA DEI FUNGHI
La vanagloria è il rifugio sicuro dei dèmoni e l’illusione sfarfalla nel gioco d’azzardo. Il destino lancia i dadi, brucia le nostre dita. Un foglio luminoso da riempire scrivo prato e il verde prosciuga la palude e una canoa procede tra le canne. Tutto è perduto? Sul tavolo un tre e vinco la partita sotto i cespugli la scorta di ghiande.
dalla sezione NELLO SGUARDO DEL LUPO
2
Spio alberi e foglie, segno la pista che conduce alla casa vuota. Ricci di castagno arano le spalle spine regalano all’aria, la durezza dell’acciaio. C’è sempre qualcosa di elettrico quando passi fiera come se perdessi liquidi acidi che poi si ricreano in figure astratte. La vita non è mai quella vera, il corpo resta all’erta e la voce afferra la coda, mi perdo nel branco e se ti penso sto male. Non sono stato io ad annientarmi: era già tutto programmato. L’ombra del bosco affilata e tenace così le orme che vengono da lontano, i microscopici indizi saturi di nulla ma la notte è un intreccio di stelle.
Come quando a Fontana di Trevi una nuvola si blocca e la guardi in attesa del minimo spostamento. chiudi gli occhi per qualche secondo, li riapri e la nuvola è in fuga, oltre i palazzi. ogni cosa è in continua trasformazione ma in noi nulla avrebbe dovuto cambiare mentre la Terra ripete i suoi agili volteggi. esplode una cassa con dentro la recita, gli appunti, i libri foderati d’azzurro. troppo preso a ferirmi per percepire il tuo sguardo: andrà tutto bene e brindo col tuo amore e sulle labbra spuntano colline, vigneti, fiumi, fiori crepitanti di luce. potrei proseguire se avessi più tempo, ti chiamerò il giorno in cui le stelle smetteranno di barare. l’iceberg ci deriva addosso, travolge i binari e resta una lingua che spia la luce. la caverna è un regalo della preghiera? il muso del lupo batte sui fili spinati. appeso al collo il rimorso di non aver fatto la cosa giusta, di non aver spento tutte le luci della casa.
17
Il calore viene dalla terra, la scossa dal timore di cadere. Giorni senza pensare sotto il castagno dal cielo le gocce necessarie e bacche per cena. La malattia del licantropo se ne andrà negli occhi conficcati nella pietra: siate voi stessi non quelli che cercano chi sono. Batto i sentieri con passo da felino e crollano frasi, si erge la scoglio tra noi e l’attimo. Tanti modi per non raggiungere l’obiettivo: scene atipiche, ululati, la vocalizzazione del passato. Chiamo da un altro pianeta: stelle frenano il ritorno incerto su questo me che non conosco, lo critichi e fai bene perché spaventa essere un altro. L’idea di fornire una lista di tutti gli orrori e lavorare al placcaggio del mostro, è quindi urgente sciogliere il filo che lega all’istante del parto. Nelle altre stanze il sole divora libri e quaderni, il manuale della guerra campestre: insetti elogiano gli avanzi, stipano macerie. Nello sguardo del lupo calmo proseguo a quattro zampe.
|