In La rovina che nomino c'è il desiderio di capire ed esplorare perché non c'è ribellione senza luce, senza saggezza e questo a costo di allearsi con il dolore e la solitudine, di restarsene per giorni ad ascoltare il rumore di ciò che è disabitato. Credere nel "canto del deserto" significa tendere i propri sensi al mormorio delle cose inanimante, entrare in un territorio dove regna il dio dell'assenza. Si resta in attesa per dialogare di ciò che è andato perduto per sempre, nella terra desolata dove tutto scricchiola e ogni paesaggio è anche un presagio. La rovina che nomino è un libro intenso e compatto che sottrae con pazienza strati di lava, pietre, acqua e terra per arrivare in profondità, alle radici e Andrea Cote lo fa con bravura e un linguaggio poetico suadente e moderno, grumoso e affilato: "Il primo inverno è stato un crollo / una terra disegnata con un pezzo di carbone". Dall'introduzione di ALESSIO BRANDOLINI
ANDREA COTE (Colombia, 1981) vive negli Stati Uniti dove insegna all'Università di El Paso e traduce dall'inglese. Ha pubblicato i libri di poesia: Puerto calcinado (2003), La ruina que nombro (2015), En las praderas del fin del mundo (2019) e l'antologia Cada paisaje es un presagio (2019). Suoi testi sono stati inseriti in antologie e tradotti in diverse lingue. Ha pubblicato i libri in prosa: Una fotógrafa al desnudo: biografia de Tina Modotti (2005), Blanca Varela o la escritura de la soledad (2004) e Chinatown a toda hora (2017).
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