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Antologia critica de Il male inconsapevole


dalla rivista "NEL (primo) VERSO", Tomo I - Luglio 2007, pagg. 235-243 (acquistabile su Lulu)

dal sito Fabruaria, gennaio 2007, di Germana Duca Ruggeri, (l'originale è qui)
(pubblicato anche sul numero 9 della rivista "Almanacco del Ramo d'Oro" - dicembre 2008)

da Daemon, (trimestrale di libri e culture artistiche), giugno 2006, n. 14 (pag. 61)

dal sito Fabruaria, luglio 2006, di Laura Ricci, (l'originale è qui)

da 30giorni, anno XXIV, n. 5, maggio 2006, di Cristiana Lardo, (anche sul sito della rivista)

da Avanti!, 25 maggio 2006, di Alberto Toni

da la Provincia, 24 maggio 2006

dal sito La Mina (stra)vagante, 15 maggio 2006, di Chiara De Luca, (l'originale è qui)

dal sito Vico Acitillo 124 - Poetry Wave, 2 febbraio 2006, di Raffaele Piazza, (l'originale è qui)

dal sito I libri in testa (blog), 18 gennaio 2006, di Elvio Cipollone, (l'originale è qui)



dalla rivista "NEL (primo) VERSO", Tomo I - Luglio 2007, pagg. 235-243     (inizio)

IL MONDO ACUMINATO DI BRANDOLINI

Il libro è ordinato dentro due grandi parentesi di rose: “Così le immagini / assillano di meno /delle rose rosse / bruciate dal dolore” (pag. 11) e “distoglimi dalle parole che fanno rumore. // Non dalla rosa che si spoglia /dalla strada suggerita dal corpo / dichiarato inadatto a percepire / la vita che fluisce in una spina” (pag. 72).
Fra queste due parentesi di controverso argine del male, si snodano i diversi livelli di una narrazione del dolore, privato e collettivo, che non sa rendersi capace, in nessun suo punto, della ragione che l’ha generato.
Ci sono pagine di diario, abbozzi di racconto, episodi lirici, c’è la capacità di passare da un piano all’altro con la naturalezza e la franchezza di chi sente di aver perduto tutto.
Il male, sembra di capire, è una grande calamita: ne sono attratti gli errori dei singoli e le colpe della società, la mancate integrazioni e le disintegrazioni ne disegnano i confini, che non cessano di allargarsi.
Il male, in ogni caso, è piccolo punto di fede inconsapevole, per il quale si è puniti con la consapevolezza del dolore. Alla fine, il male non si potrà amarlo: l’inconsapevole è anche l’inevitabile, e in ogni sua sfumatura. Il male non ha peso, e Brandolini alleggerisce via via le sue pagine caricandole di tutto il male che può essersi fatto per un amore, per l’amore, insostituibile.
Queste poesie, infine, sono i teoremi di una malattia. Il marcato cerebralismo di certi snodi (“Nella casa mentale l’ordine sovrasta il pensiero / il letto è il chiodo trafitto dall’ombra dei cuori”, pag. 62) serve per fissare il foglio su cui si scrive e si disegna, per paura che il vento porti via il dono, diventato così prezioso ed essenziale, del dolore.
Il mondo diventa acuminato: chiodi e spine, ogni trafittura penetra, inocula, ma non fa uscire il flusso di sangue che farebbe scendere i valori della pressione. Che resta alta, ma sotto controllo. Altro non si può fare, non c sono interventi chirurgici risolutori, non c’è una terapia palliativa. In fondo, ci si trova di fronte, persino a letto, un simulacro di morte che, a ragione, ha più ragione di esistere di quanto gli vive intorno (v. L’ospite, pag. 63).
Si vive soltanto sopravvivendo, chiamando a sé le parentesi profumate di cui dicevamo all’inizio: “la sospensione / della paura” mette il dolore fra parentesi.

(mater)

(seguono sette poesie da Il male inconsapevole)


dal sito Fabruaria, gennaio 2007, di Germana Duca Ruggeri     (inizio)
(pubblicato anche sul numero 9 della rivista "Almanacco del Ramo d'Oro" - dicembre 2008)

Il male inconsapevole di Alessio Brandolini. Ovvero una residua speranza di bene

Se è vero che la parola disastro in latino significa "scomparsa dell'astro", ovvero del sole, simbolo universale di vita - e per estensione di Dio, il sommo Bene -, i temi surreali e spaventosi che abitano le brevi prose e i versi di Alessio Brandolini raccolti ne Il male inconsapevole (Il Ramo d'Oro Editore, Trieste, 2005) potrebbero offrirne originale conferma, specie muovendo dal testo che conclude la prima sezione, La polvere degli occhi:

Dove l'autore lascia intendere che, pur nell'inconsapevolezza, il male ci sovrasta, ci contagia, stringe la terra. E stringe, per ciò stesso, questo libro bello, niente affatto consolatorio, ad altissima densità di percezioni, con parole sulfuree, sapide, adatte a pronunciare la poesia come "vertigine da spartire con qualcuno". Sia quando essa si parcellizza nell'osmosi col regno vegetale, allargandosi sull'"albero sterile che attende l'ascia" e, più ancora, sul "taglio del bosco"; sia quando si addensa in sogni similari, di metamorfosi; anche in forme animali (un cane morto, una lucertola senza coda), nella ricorrenza del verbo "sfregiare" e del sostantivo corrispondente, fra catastrofi e devastazioni elargite dalla natura, guerre preventive, affetti andati a male: "mani arcigne, le aride bocche selvagge da mesi a digiuno".

Al poeta, il quale avrebbe voluto concedere fiducia illimitata solo all'amore, non resta che l'autofagia, la forma più singolare di cannibalismo, oppure (magari la notte di Natale) l'autosgozzamento, null'altro potendo opporre alla scissione dell'io, alla follia in agguato. Tali spunti macabri e truculenti, degni di certi films di George Romero, sono alleggeriti da pulsioni ironiche ("Un po' me la rido perché non posso fare altro") il cui andamento trasversale chiama in causa la stessa scrittura. La quale, conscia degli abusi orali commessi sulla parola, a sua volta se la ride, dispiegando un repertorio retorico e stilistico di tutto riguardo: raccontando sentimenti, idee, luoghi, persone, smanie oniriche o veglie deliranti. In pagine compatte, continue, abbondanti, con ricchezza di invenzioni, trovate originali, minute descrizioni, colpi di scena, che ora portano verso l'ignoto, ora - al contrario - verso inattesi sentieri di luce.

Sono proprio tali confini, oltre al titolo Senza uscita dato da Stefano Cardinali all'eloquente disegno a china, che chiude sezione eponima e silloge, ad obbligare il lettore a tornare indietro, a indugiare sui testi col desiderio di ritrovare alcuni degli appigli intravisti: l'azione terapeutica del mare (mare contro male!), o del sonno riparatore, in grado di ripulire la memoria dal rancore; la fusione pànica col paesaggio campestre; la scoperta che la folle decisione di essere perfetto è perfetto masochismo:

Il ricordo dell'infanzia propria e di quella dei figli, antagonisti del male, col loro "sguardo mite e preoccupato": Ci si rende conto così che Alessio Brandolini, senza nostalgia dell'uomo seduto sul carro della ragione, con in mano le briglie del cavallo nero e del cavallo bianco che spingono in direzioni opposte, com'è in Platone, tiene gli occhi puntati su ogni cosa, su ogni persona. Specie su ciò che è diverso, perché lì c'è ancora da imparare. Cita Alejandra Pizarnik, Jorge Eduardo Eielson, Victor Cavallo, altri amici poeti; ma anche i derelitti che affiorano dalla "marana di via Prenestina", coi loro linguaggi meticci "che Dante certo amerebbe"; l'uomo decapitato in cammino, "l'amico dal naso piallato"; parla dell'infinito come "antro" ove mutarsi in fiore, sciolto dalla nudità, distolto "dalle parole che fanno rumore". Quasi a voler rammentare che in questi giorni di offesa a ogni saggio sentire, in una società che si muove, che cambia faccia, che vincola le persone, è necessario lasciare una traccia: pagine nuove, dense di inchiostro, da agganciare a fili di aquilone, da mettere possibilmente in circolo. Forse perché il dato più autenticamente umano non è la produzione, ma lo scambio. Forse perché l'unica parola vera sul male del mondo è quella inconsapevole, scritta in ogni istante. Spesso a dettarla, in un soffio più simile al silenzio che a qualsiasi voce, è la fiducia in qualcuno, in qualcosa, insomma: una residua speranza di bene.


da Daemon, (trimestrale di libri e culture artistiche), giugno 2006, n. 14 (pag. 61)     (inizio)

ALESSIO BRANDOLINI: IL MALE INCONSAPEVOLE
Brandolini ha un verso lungo, che spesso straborda quasi nella prosa: e questi sono forse i suoi momenti più alti, quelli in cui più si sente la sua voce autentica e capaci di alto lirismo. Questo poeta è un poeta delicato, intimo, proiettato in un dentro che comunque sa accogliere il mondo con delicato sentire. Forse talvolta un po' troppo cerebrale, ma comunque capace di qualcosa di raro: dire l'amore col suo nome, in tante delle sue forme (dalla passione per una donna, all'amore coniugale, a quello per un luogo pieno di ricordi, all'amicizia) senza essere scontato o artefatto.


dal sito Fabruaria, luglio 2006, di Laura Ricci     (inizio)

La purpurea ferita. Alessio Brandolini racconta il male inconsapevole

Uscito a dicembre 2005 per "Il Ramo d'Oro Editore", nella collana poetica "Sillabario in versi" diretta da Gabriella Musetti, Il male inconsapevole di Alessio Brandolini, più volte esplorato e letto e ri-letto non finisce di stupire. E dunque, come tutto quel che è stupore, arricchisce e mostra nuovi orizzonti.
Sono frontiere che si aprono in fonde crepe verticali più che in vasti, orizzontali spazi, ferite penetranti che in questi testi poetici affondano non nelle linfe sotterranee del repertorio materico di Brandolini poeta della terra, ma direttamente e impietosamente nel corpo dolens dell'uomo. Homo patens, che quanto più non si sottrae tanto più patisce, attraversato da un male che seppure nominato come inconsapevole è tuttavia perfettamente reso, in tutto il suo crudo infierire, dall'estrema lucida consapevolezza della parola poetica.
Non a caso "la ribellione consiste - come implode dalla folgorante epigrafe iniziale mutuata da Alejandra Pizarnik - nel guardare una rosa fino a polverizzarsi gli occhi". Non a caso la rosa è posta, nell'illustrazione del libro, su un piano ad appassire piuttosto che a durare nell'acqua, affidata al nero china di Stefano Cardinali.

La strategia del sonno
isolata nel vuoto
presa all'arpione
sottratta alle tenebre
è la nostra memoria
ripulita dal rancore.

Così le immagini
assillano di meno
delle rose rosse
bruciate dal dolore.

E chissà se è circostanza fortuita quella raffinata, rugosa copertina di rugginoso carminio della bella edizione de Il Ramo d'Oro, fatto sta che si addice come non mai al lessico ricorrente del verseggiare, denso di richiami purpurei e laceranti.
Dalle rosse foglie autunnali stracciate dagli spini (pag. 12) alle lingue e ai palati che, alla ricerca di un disperato piacere che lenisca, si rincorrono e si trafiggono (pag. 13). Dal rosso scandaloso uscito dalle labbra cucite (pag. 58), alle vene gonfie o svuotate del purpureo liquido; dalla "bocca" dell'odio al "fuoco" della voce. Dal flusso caldo e violento del suicida della notte di Natale:
Gli lisciava il petto come una lama
l'inguine e il setto a riposo da mesi.
Il sangue era un mazzo di fiori
disciolto sul cuscino e sul pigiama.
alle mani ricorrentemente trafitte da chiodi, palese cifra della passione delle passioni, quella emblematica del Cristo:
il decimo pezzo è sempre il più difficile. ti fa sentire un cannibale che vorrebbe indietro i muscoli dei suoi vent'anni. con il tuffo al cuore che mi prende ogni volta che ti osservo...
Le tue labbra sono la spugna immersa nel sale
di un sogno e quando le bacio resto a lungo incollato
con tutto il corpo e lo spirito e le gambe s'esibiscono
in un erotico tango argentino: ti amo
e voglio che mi ami come si ama quando si ama molto.
Però ci sono i chiodi nelle mani, dici, e non puoi non vederli, non sentirli nella carne lacerata (...).
Dal bisturi che ripetutamente incide la piaga all'inferno della marana del Prenestino. Per non parlare del carminio suggerito o esplicito di alcuni titoli: il già citato "Con le labbra cucite", "Sonata rossa per Victor", "L'angelo che punge", "Con il vetro nelle mani", "Fuoco amico", "Acqua in fiamme". E poi verbi e sostantivi che tagliano, strappano, incidono; immagini che producono vera o simbolica cesura. Lacerare, scavare, tagliare, strappare, mordere, masticare, divorare:
Fiume oltrepassami lento, ma senza pietà aiutami a trafiggermi, a divorarmi con gusto un pezzetto alla volta.
Ferita, chiodo, bisturi, taglio, cicatrice, rossi organi:
Più in alto trovo la sabbia e l'allegra
fila delle orme degli uccelli: la scrittura
insonne, vibrante nel rosso delle rose
nelle vene che scoppiano sulla fronte
nei segni dell'abbandono, delle spine
e sotto i cavi ghiacci perché uso il male
come un piccone, un martello pneumatico
vado a fondo nella carne (la mia, la nostra)
porto via il fegato, i polmoni, il cuore.

        Quello che resta degli occhi.

Così, pur con la bocca cucita (tale è il soffrire che non può essere detto), la scimmia millenaria di Jorge Eduardo Eielson - l'altro che è in noi e ha il coraggio di andare a fondo senza difese - guidata dallo scarno poetico affondare di Alessio Brandolini esplora, nel mirabile concentrato di versi e con il coraggioso azzardo della scrittura, tutto il dolore del mondo. Dall'atemporale defluire delle forze e dell'entusiasmo - Vive una volta sola il vento tropicale / frutta fresca e foglie avvinghiate al sole - all'insensata alienazione della nuova era mediatica, dai millenari laghi artici delle solitudini d'ogni tempo alla disumana condizione dei disperati e dei torturati degli inferni moderni.
A tinte forti, tra rosso e nero - altro colore / non-colore prevalente è infatti nel libro il nero delle muffe - senza sfumature e senza balsami, questo lavoro si fonda su un civile impegno, su un'impietosa analisi del vivere che sembrano molto lontani dalla precedente raccolta del poeta della terra. Eppure i primi segni di questa mappa del male, le prime orme di quello che Brandolini stesso, nei versi dedicati a Mary Barbara Tolusso definisce un "nuovo inatteso percorso", sono ben rintracciabili in alcune polle sotterranee delle precedenti raccolte, così come non mancano in questa quegli elementi mutuati dalla naturalità degli alberi tanto congeniali al poeta:
Giorni d'attesa rintanato nel tronco
confuso alla corteccia che si stacca.
Ai rami senza foglie, né frutti
alla linfa che da tempo non scorre.

Ci sarà un colpo d'ascia
poi il rumore degli alberi abbattuti.

Non una cesura dunque, ma una svolta matura e consapevole che, a partire da un diverso approccio gnoseologico, innova arditamente discorso e forma. Se inconsapevole è il male, questo nuovo fare scrittura di Brandolini denota un'esperta e più che consapevole ricerca stilistica. Taglienti e nitidi i versi incidono quell'inconsapevole male nella nostra stessa carne, si agglomerano di tanto in tanto - questa l'innovazione formale più ardita e felice - in una pseudo prosa che, frantumando le regole, torna ad essere nuovo ed efficace esperimento poetico:
giuro che oggi la smetto di mentirmi addosso. ecco, vedi, mi spoglio e vado a letto prima del previsto e non mi alzerò al mattino per mischiare il mio canto a quello dei corvi o al nero cemento della periferia romana. prima o poi lo chiudo il quaderno. sì, quello che da solo scrive le storie e i versi sulla mia lingua. sbuccia la morbida carne del cuore. il male lacera le viscere e s'inventa frasi e parole alle quali poi, per decenni, si rimane aggrappati. inconsapevolmente ce ne andremo da noi stessi e dalle spaccature della notte non passerà più aria, né luce. ci mangerà il pane impigliato alle dita, ci berrà il silenzio nascosto negli occhi. ce ne staremo fuori dallo sguardo che sostiene la falsa armonia degli uomini-fratelli. per questo restiamo qui, e lenti camminiamo a piedi nudi sulla terra e parliamo come non abbiamo mai fatto, presto la smetteremo d'accarezzarci e sorridere all'erba di vetro che sfregia la pelle delle gambe e delle braccia.
L'urgenza
                d'azioni perfette
                     lascia a lungo
                          distanti, di stucco.
Talvolta per anni
                con il fiato sospeso
                          o appeso alle pareti.

Stando da soli
                si può, immaginare
                     di resistere, tenere duro
                          d'essere molti, o in tanti.

C'è il povero
                e non lo vedi
                     il santo
                          e lo calpesti.

In pasti festosi
                la notte ingoia
                     la luce degli astri
                          maldestri, lagnosi.


da 30giorni, anno XXIV, n. 5, maggio 2006, di Cristiana Lardo     (inizio)

Concorso di colpa
In queste poesie Brandolini prova a raccontare tutto il male del mondo: quello privato, magari esercitato in un rapporto d'amore, quello mondiale, dalle bombe sull'Iraq allo tsunami del 2004

Il nuovo libro di poesie di Alessio Brandolini si chiama Il male inconsapevole. Libro, non raccolta, stavolta. Con un gesto di forte responsabilità: tanto è inconsapevole il male di cui si parla, tanto è conscio, responsabile ed esaustivo il modo di raccontarlo.
Si tratta di testimoniare, in poesia, una correità. Tanto più colpevole in quanto distratta, sonnolenta, svagata. Nelle poesie Brandolini prova a raccontare tutto il male del mondo: quello privato, magari esercitato in un rapporto d'amore, quello mondiale, dalle bombe sull'Irak allo tsunami del 2004. Le cose che non si vogliono vedere, o meglio, le cose che non si riescono a vedere distintamente, perché il nostro mondo ha in sorte solo "quel che resta degli occhi".

Dopo anni di galera gli occhi si rimettono in moto
e fanno vedere giovani donne dal seno poderoso
scavalcano il buio la siepe l'erba il prato
ci si imbatte in un uomo: un padre, forse
e l'ombra che ci insegue
(...)
Altrimenti il buio vizia e il mondo squarta.
Ossimoro e polisemia, da tanto tempo pilastri del fare poetico, non sono più l'appiglio per la famigerata coincidentia oppositorum. Nella poesia del Male inconsapevole si fanno voce proprio di quel concorso di colpa, del male insito nell'uomo e nelle cose degli uomini. Il linguaggio di Brandolini, infatti, è denso, concentrato, ellittico come non era mai stato nei due suoi libri poetici precedenti. Senza rinunciare, però, a raccontare delle storie. Il drammatico - nel senso di dialettico e teso - rapporto con la parola, qui, viene reso materia poetica esso stesso:
Ho portato le labbra da un calzolaio
l'ultimo della zona ad indossare
sempre un camice di cuoio
imbrattato di lucidi di ogni colore.
Me le ha cucite per bene con un ago speciale
tanto che il dolore era davvero insopportabile
e il filo d'acciaio appena si vede
così per non parlare avremo la scusa buona
potremo starcene per sempre muti.
Poter "scrivere ma non parlare": lasciando alla poesia il compito di evocare immagini, di scavare emozioni, di riconoscere silenzi che raccontano.


da Avanti!, 25 maggio 2006, di Alberto Toni     (inizio)

Versi & Commenti

Alessio Brandolini pubblica "Il male inconsapevole" (Il Ramo d'Oro, 78 pagine, 14 euro), una raccolta poetica per raccontare la sofferenza umana. "Il bisogno di dire questo male che ci attraversa - scrive Gabriella Musetti - porta Alessio Brandolini a scegliere la scrittura perché la voce non ha più riscontri, tanto è usurata e sconfitta e fondamentalmente allo sbando". Così allora è compito dei versi ritmare l'ossessione:

Ho come una vertigine da spartire con qualcuno
un calice pieno di calce
un muro crollato
una rosa bruciata
una corteccia d'albero in mezzo ai denti.
Questo "male inconsapevole" è come un'onda d'urto, scuote la pagina, con metafore che sono spine, aculei. Dice Brandolini: "Ma dentro ho un lupo che mi divora". Il male emerge all'improvviso, si nasconde per poi colpire, rovesciare il punto di vista sulle cose del mondo. Scrivere è dichiarare, mettere nero su bianco, cercare di arginare la "roccia che ti rotola dentro", pretendere un attimo appena di tregua nella vita "che fluisce in una spina".


da la Provincia, 24 maggio 2006     (inizio)

INCONTRO CON BRANDOLINI
Il poeta sarà ospite della libreria "Piermario & Co."

La passione della perfezione è una bella illusione, ma quando si tratta di guardare la realtà ad occhi aperti si comprende che "nell'ottimismo a ogni costo c'è puzza di bruciato, di morti cancellati o nascosti". Bisogna invece capire che non c'è porto se non il mare aperto, prendere intero su di sé il carico del male e del dolore, sperimentare questo attraversamento nella speranza di poter raggiungere una verità umana, mortale sì ma lontana dalle illusioni e dalla chiacchiere che ci avvolgono. Sono questi i pensieri che catturano il lettore de "Il male inconsapevole", l'ultima raccolta di versi del poeta romano Alessio Brandolini che è al centro dell'incontro di questa sera alle 20.30 presso la libreria "Piermario & Co." (in via Armellini 26 a Latina): ne parleranno con l'autore il "padrone di casa" Piermario De Dominicis e il nostro collega Fabio Pedone.
Il volume, pubblicato nel dicembre 2005 dall'editore Il Ramo d'Oro di Trieste, raccoglie 48 poesie fra le più recenti dell'autore di "Divisori orientali" (Manni 2002) e "Poesie della terra" (LietoColle 2004). Dopo quest'ultimo libro, caratterizzato da un'attenzione alla natura percorsa da serpeggianti inquietudini, con "Il male inconsapevole" Brandolini riprende il discorso sulla realtà e sulla contemporaneità già inaugurato in "Divisori orientali".
La crisi dell'io diviso si traduce in una poesia aperta alle invasioni della prosa, a soprassalti di forte urgenza diaristica e a qualche accensione onirica. Domina "Il male inconsapevole" il linguaggio aspro del corpo: un corpo ferito, graffiato, pieno di cicatrici, destinato ad essere quasi scolpito e modificato dal poeta. Ed emergono i segni della storia contemporanea, la cronaca di guerra appresa davanti al televisore, le vicende dei migranti e degli ultimi del mondo: ma senza esibita retorica.
Nato a Frascati nel 1958, Alessio Brandolini ha esordito come poeta nel 1989 sulla rivista "Galleria", allora diretta da Leonardo Sciascia, e nel 1991 vince la sezione inediti del "Premio Montale" con una silloge poetica, "L'alba a piazza Navona", poi edita da Scheiwiller nel 1992. Nel 2002 pubblica "Divisori orientali" (Manni, Lecce), raccolta di poesie alla quale è stato attribuito il "Premio Alfonso Gatto 2003 - Opera prima". Nel 2004 per l'editore LietoColle esce "Poesie della terra", con prefazione di Mario Santagostini (segnalato al Premio Montale Europa); lo stesso editore ne pubblica la versione spagnola, "Poemas de la tierra" (cura e traduzione di Martha Canfield). Collaboratore di vari riviste e siti web, Brandolini è particolarmente impegnato nell'organizzazione di reading e incontri letterari, soprattutto con il gruppo "I Libri in Testa". Fa parte della giuria del Premio internazionale di poesia Pier Paolo Pasolini.


dal sito La Mina (stra)vagante, 15 maggio 2006, di Chiara De Luca     (inizio)

VIVERE È UNA ROCCIA CHE TI ROTOLA DENTRO

su Il male inconsapevole di Alessio Brandolini

Il male inconsapevole, di Alessio Brandolini, mi ha colpita sin dal titolo, e le mie aspettative non sono state deluse. È un libro molto intenso, che fa pensare, un libro che sommuove e che "disturba", un libro che scava. Perché Brandolini si addentra nelle zone oscure del reale e di se stesso, visita con coraggio le zone d'ombra, sfiora l'inconfessabile, va a fondo nel dolore, si confronta con la morte, la malattia, la sofferenza fisica e spirituale. Il tutto con un linguaggio accessibile, chiaro, immediato, eppure elegante, nel fluire armonioso del verso, che spesso sfocia in intermezzi di prosa poetica, in cui il difficile equilibrio stabilito dall'accordo iniziale dei versi non è rotto neppure per un istante. Prosa e poesia si alternano, senza confondersi, quasi duettano. L'accensione immediata, verticale, della poesia incontra così l'andamento più rettilineo della prosa, senza spezzarlo. E la prosa svolge l'intuizione poetica senza mai rivelarla del tutto.
È come se il poeta chiamasse a raccolta tutti gli strumenti espressivi che ha a disposizione, per tentare di dire proprio quel male che inconsapevolmente ci portiamo dentro, che altrettanto inconsapevolmente ci accade di riversare su ciò che ci circonda, lasciando che l'amore sfugga, mentre noi restiamo a guardarci vivere, a metà tra il presente e il passato, talvolta sfiduciati nei confronti di un futuro che appare nebuloso, distante, quasi inaccessibile.
Con una immagine violenta, potentemente visiva, nella bella poesia, dal titolo Con le labbra cucite, Brandolini rappresenta un silenzio che è imposizione, ma anche auto imposizione. Il limite si può varcare soltanto facendo ricorso ad una alternativa espressiva, da trovarsi nella parola scritta, che proprio dal silenzio prende avvio, per liberarsi, e liberare il suo artefice, cui è consentito "scrivere ma non parlare":

Ho portato le labbra da un calzolaio
l'ultimo della zona a indossare
sempre un camice di cuoio
imbrattato di lucidi d'ogni colore.
Me le ha cucite per bene con un ago speciale
tanto che il dolore era davvero insopportabile
e il filo d'acciaio appena si vede
così per non parlare avremo la scusa buona
potremo starcene per sempre muti.
[...]
L'immagine delle labbra cucite, della condanna al silenzio, torna in nella scatola dei giochi, dove alla parola, al pensiero, si oppone il corpo nella sua fisicità, nella sua vitalità, che supera le limitazioni: "Si ribella il corpo, s'affolla di figure / implora di lasciarlo vivere / di non sprofondarlo in un sonno / di terra e ombre dalle labbra cucite".
Le labbra cucite non sono necessariamente labbra mute, bensì incapaci di lasciar scivolare fuori la verità, di dare libero corso alla volontà di chi profferisce le parole, facendo sì che la parola non divenga comunicazione: "Avremmo dovuto parlare per mesi / contraddire con milioni di frasi / le labbra serrate col filo / concedere fiducia illimitata / all'amore che scuote / i nervi e li scaglia contro il destino" (Dialoghi silenziosi)
Il dissidio tra il pensiero e la parola, tra il silenzio e la verità, è anche riflesso del contrasto esistente tra il corpo e la razionalità: "[...] Scioglimi le nudità / distoglimi dalle parole che fanno rumore // Non dalla rosa che si spoglia / dalla strada suggerita dal corpo / dichiarato inadatto a percepire / la vita che fluisce in una spina" (Il percorso dimenticato). La volontà del poeta stesso sembra essere proprio quella di arrivare a percepire la vita della spina, il segreto fluire del dolore, dietro l'apparente armonica bellezza della rosa, perché "nell'ottimismo a ogni costo c'è puzza di bruciato, di morti cancellati o nascosti. di rinuncia al sogno, a capire fino in fondo il dolore. ma la speranza è il chiodo che regge la croce, e in qualche modo rinsalda" (All'aeroporto). Affrontare il dolore significa dunque rafforzare la speranza di sconfiggerlo, la speranza che ci dona la forza per comprenderlo, alimentando il sogno, la possibilità.
Ecco allora che il poeta decide di "soffrire fino in fondo, spegnere la vista e immobilizzarsi con la coda tagliata e la pelle che cresce tra le dita" (p. 14). C'è la volontà di rimpicciolirsi, come una lucertola, di entrare nelle pieghe oscure di sé, alimentando il dolore, provocandolo quasi, portandolo al parossismo, per estrarne il grido dal corpo. Perché è il corpo che comunica, che supera il silenzio delle labbra cucite con cui nel quotidiano andiamo incontro al mondo: "Voglio stare senza di me in un vicolo cieco / con gli spilli e gli aghi infilati alle ginocchia / nelle ascelle, nel bianco degli occhi che dilaga / sulla pelle, sotto le unghie, tra i peli del pube / giusto per sostenere questo corpo privo di te / che ti cerca ma non sa come dirtelo e non parla / con gli estranei che sono tutti quelli con i quali / di solito ha a che fare e spartire questo e quello" (Cieco nel cuore). Paradossalmente, il corpo "si sostiene" soffrendo, come se solo in tal modo potesse sentire se stesso, sentirsi vivere, avvertire fino in fondo le proprie sensazioni, la nostalgia di ciò che manca, tutto lo strazio dell'assenza.
Così l'adulto, che ha già fatto l'esperienza del dolore, lo ripercorre, lo rivive, mentre il bene si confonde con il male, la bellezza con il buio, ciò che era amore con il silenzio, di cui s'imbeve la terra stessa: "sguardi innocenti raggirano l'occhio, lo scavano nel bianco della pupilla, con un cucchiaio lo estraggono dal fondo del bambino, lo strappano dal ventre dell'adulto che mangia se stesso per nutrirsi e sopravvivere. il cielo è uno strato duro e liscio sotto i piedi, riflette il bene come se fosse il male e l'azzurro del suo sguardo come fosse il buio d'un amore appeso ai sottili ganci stellari. poi ci assale la notte, divora il silenzio e alla terra fa molto male" (Dicembre 04). L'adulto "mangia se stesso", si scarnifica, si priva cioè del corpo, perché è ad esso che restano aggrappati le sensazioni e i ricordi. Ciò non significa però auto distruggersi, scendere sul fondo per restarvi, bensì giungervi in fretta, con coraggio, per poter più in fretta ritrovare la gioia, che sarà tanto più intensa quando intensa è stata la sofferenza prima: "[...] il dolore / può farti ritrovare la casa / dalle finestre spalancate / esplodere di gioia e dare una forza vera, inarrestabile" (Cieco nel cuore).
In assenza di movimento, di mutazione, il male diviene strumento di conoscenza, di una nuova esperienza, profonda e inconsapevole, del mondo: "[...] perché uso il male / come un piccone, un martello pneumatico / vado a fondo nella carne ( la mia, la nostra) / porto via il fegato, i polmoni, il cuore. // Quello che resta degli occhi" (Quello che non merito).
Così il poeta chiede al fiume, all'energia della vita, di liberarlo da se stesso, dall'intralcio della propria irresolutezza, dalla paura di andare nel buio, nell'ignoto: "Fiume oltrepassami lento, ma senza pietà aiutami a trafiggermi, a divorarmi con gusto un pezzetto alla volta" (10). Perché è nel dolore che l'uomo si riconosce, che ritrova la propria origine, l'infanzia reale o quella nostalgicamente rievocata e trasfigurata nel ricordo. Ed è nell'infanzia dei propri figli, nel loro slancio, nella confluenza del passato nel presente, nel suo proiettarsi verso il futuro, che l'uomo può vincere il male, o lasciare che sia da loro vinto, in modo altrettanto inconsapevole quanto lo è il male stesso: "Mi riconosco dall'odore umido / del latte nero munto dal dolore / dall'infanzia avuta o sognata / o quella dei figli che ti restano / accanto e scalzi entrano nel cuore / lo scavano e li ascolto corrermi dentro / sbriciolare il male con le mani e lo sguardo. / Per questo quando scrivo cancello le parole". Inutile dunque "Far finta che il male / si celi nelle immagini convulse / proiettate sulla superficie del bene" (Il percorso dimenticato). Inutile fingere che il male sia disarmonia, frattura, e che la "normalità" e l'equilibrio siano il bene. Inutile aspirare alla perfezione, alla tranquilla immobilità di una quiete apparente: "Aveva deciso di essere perfetto / però la perfezione / si sa, non è di questo mondo e spesso si lamenta / nella gabbia dei leoni apprende la sua pena. / Oggi scrive con la mano sinistra per farla più breve / non scivolare nel tepore, o nel terrore letterario. / Preferisco soffrire o andare in cerca d'un percorso / e mai con gli stessi pensieri e ogni volta resta / stupefatto e rinsecchito nell'osso che scolpisce / affusolate lastre di ghiaccio sotto il volo del corvo" (Non dirmi che non godo). Scrivere con la mano sinistra significa misurarsi, mettersi alla prova., scegliere il cammino più impervio e rischioso, rifuggire l'abitudine, esplorare e stupirsi ancora. E scegliere un percorso mai battuto comporta andare incontro al rischio di soffrire, superando la tranquillizzante staticità del già noto. La tentazione sarebbe quella di restare, di cercare un appiglio, ma ancora il corpo disobbedisce, allenta la presa, si lascia cadere: " - il continuo susseguirsi di ferite e mutilazioni non è un gioco. coesisti a fatica con la perversa illusione di sottrarti ai colpi, agli attacchi del destino. resti immobile negli anni senza fare troppe acrobazie. ti attacchi dove puoi però ci sono mani che allentano la presa" (All'aeroporto).
Superata la tentazione di abbandonarsi alla quiete sempre uguale dell'immobilità, l'uomo va necessariamente incontro a nuove esperienze e sofferenze, perché "Sono piedi e mani a reclamare la voglia / d'esistere e non stare bloccati sul ponte / tra persone distanti che non si conoscono / a scrutare barche affossate all'orizzonte" (Quasi una laguna). Sottrarsi alla sofferenza è dunque impossibile, come lo è liberarsi del tutto dalle scorie del dolore riportate in luce dal ricordo: "la polvere che ogni volta riemerge dalla stanza / prende coraggio e senza sforzo plana sugli oggetti" (Le mani a digiuno).
Accettare la nostalgia che viene dal ricordo, battere sentieri sconosciuti, rischiare ancora significa esistere appieno, sottrarsi alla pirandelliana attitudine del "vedersi vivere": "e quando mi vedo vivere mi buco gli occhi, rimpiango / il pane da spartire con gli altri: gli amici di un'altra era" (Solo per vederti sorridere).


dal sito Vico Acitillo 124 - Poetry Wave, 2 febbraio 2006, di Raffaele Piazza     (inizio)

ALESSIO BRANDOLINI: IL MALE INCONSAPEVOLE

Alessio Brandolini è nato nel 1958 a Frascati, vive a Roma. Ha esordito come poeta nel 1989 sulla rivista "Galleria". Nel 1991 ha vinto la sezione inediti del "Premo Montale" con la silloge poetica L'alba a piazza Navona, edita nel 1992 da Scheiwiller. Nel 2002 ha pubblicato la raccolta poetica Divisori orientali (Manni, "Premio Alfonso Gatto - Opera Prima") e nel 2004 Poesie della terra (LietoColle), poi anche in versione spagnola Poemas de la tierra (2004, LietoColle). Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue e pubblicati su riviste (tra cui Poetry Wave) e in antologie italiane e straniere. Il male inconsapevole appare una vasta esplorazione della sofferenza umana a livello ontologico, quella che avvertiamo dentro di noi, ma non riconosciamo più nostra, in un'alterità ormai consumata. Il bisogno di dire questo male che ci attraversa porta Alessio Brandolini a scegliere la scrittura perché la voce non ha più riscontri tanto è usurata e sconfitta e fondamentalmente allo sbando. Una scrittura piana, quasi distaccata dagli oggetti che rappresenta, perché più lucida e precisa è l'immagine, più forte il dolore che mostra , senza affanni emotivi che distraggano.

A tratti, la scrittura di Brandolini, icastica, eppure leggera, ha, come caratteristica intrinseca, un carattere di visionarietà. Leggiamo il componimento d'apertura della sicura e compatta raccolta di Brandolini, poesia che non presenta titolo:

L'azione imprevista dell'onda
annulla la fermezza del silenzio
più simile alla morte che all'erba
cresciuta sui lampioni delle strade.

Al mare le ore procedono meglio
ci si ricopre di salsedine
si mettono le pinne
in pochi minuti si sta fuori dal deserto.
Così lo spazio bianco non finisce
nel pozzo dell'inchiostro
prova ad allungarsi verso il meridione
a infilare i sogni nelle tasche del vento.

La strategia del sonno
isolata nel vuoto
presa all'arpione
sottratta alle tenebre
è la nostra memoria
ripulita dal rancore.

Così le immagini
assillano di meno
delle rose rosse
bruciate dal dolore.

Il testo, che presenta un andamento narrativo, è caratterizzato da una certa sensualità, tutto pervaso da un incontrovertibile senso di erotismo e di corporeità, connessi inestricabilmente tra loro: tutto parte dal corpo e, attraverso il corpo, si fa parola; c'è un primo livello fisico, che poi s'invera sulla pagina e diviene calibrata e incisiva poesia. Alessio Brandolini ci presenta il disagio esistenziale dell'esserci nel mondo, nel cronotopo spazio-tempo, che include una fisicità, dalla cui ferita, quella dell'essere umano, e tanto più del poeta, sgorgano i versi, ferita sempre sanguinante che si allargherebbe e porterebbe alla morte, se non ci fosse l'antidoto della scrittura. Poesia neoromantica, quella che prendiamo in considerazione, in questa sede, che si fa espressione vasta della sofferenza umana, perché la nostra mente è temporale e avverte intrinsecamente il senso del limite. C'è anche il tema del quotidiano, pur senza esserci traccia di minimalismo, in questa scrittura e, proprio la quotidianità che il poeta ci presenta, è la sua arma vincente, la sua cifra, la sua intelligenza, il deterrente per non cadere in una visione vaga di massimi sistemi che porterebbe ad un senso d'indeterminatezza, come spesso avviene nella poesia che oggi ci capita di leggere e che è, sicuramente, un carattere poco efficace.

Il male inconsapevole è scandito in due sezioni: la prima è intitolata La polvere degli occhi (e questo titolo, nella sua dolorosa espressione, si collega alla fisicità di cui sopra si parlava, di cui è pervaso tutto il libro), la seconda sezione, eponima, intitolata Il male inconsapevole. A caratterizzare il testo ci sono dei segmenti di prosa poetica che rendono vivace e articolata la lettura del libro, rendendolo ancora più prezioso; tra le poesie di Brandolini inserisce due disegni a china del bravo Stefano Cardinali. Da notare che, anche in Poesie della terra, l'autore ha inserito delle immagini figurative: così, in entrambe le opere si fa stretto un gioco di specchi tra parola e pittura, in modo tale da rendere il risultato estetico potenziato nella sua capacità di fascinazione.

Altro protagonista de Il male inconsapevole è la natura, plasmata attraverso rappresentazioni di immagini di vegetali e di animali, nonché di scorci paesaggistici di cieli e mari: ci sono rose rosse, erba, foglie verdi, foglie gialle, spine, prati, ortiche, pesci rossi. Tutti elementi che rafforzano un'evidenza simbolica, quasi che, nel loro essere descritte, incarnassero, nella loro bellezza, un tentativo, una tensione verso la liberazione dal dolore. C'è anche un tu, che si evidenzia nell'opera di Brandolini, un tu che, se in poesia è tutto presunto, dovrebbe essere quello dell'amata. Non manca il tema delle metamorfosi, nella poesia di Brandolini, come nella poesia, appartenente alla seconda sezione, intitolata Solo per vederti sorridere:

Di noi nulla è rimasto, se non lo scheletro
dell'avvoltoio che mi dicevi d'essere
pur non avendo né becco né ali.
La figura femminile, al posto di divenire fiore o pianta, come è tradizione nella poesia, diviene aquila e l'aquila è un animale che bene s'inserisce nella raccolta, intensificandone il senso inquietante.


dal sito I libri in testa (blog), 18 gennaio 2006, di Elvio Cipollone     (inizio)

Il male inconsapevole, di Alessio Brandolini

"Sono lenti a passare
i malumori del mondo"

Questo cambio di millennio man mano che procede svela sempre più tutta l'ansia e il rancore e la frustrazione che il secolo scorso ci ha lasciato in eredità. È questa "l'azione imprevista dell'onda... più simile alla morte che all'erba".

Il poeta si sente quasi sopraffatto dallo sgretolarsi impietoso del potere che elargisce lutti e dolori lungo la sua rovina, vive "giorni d'attesa rintanato nel tronco" e si consola con Jorge Eduardo Eielson "non sono io che soffro ma l'altro". È con questo verso nello zaino che fa un giro nella città sepolta dai ruderi tra le "lamiere i rifiuti le porte d'aria" in una atmosfera quasi visionaria dove lo spreco della globalizzazione si contrappone alla carne lacerata degli uomini sottomessi.

Con un ritmo spezzato a tratti alterato direi quasi dalla rabbia per l'ingiusta morte che lascia indifferenti il poeta tenta piste alternative: la natura l'amore i corpi scambiati; e dopo il segreto di un'illusione ("la tua lingua feroce ferisce... e tutto finisce") si aggrappa alle possibili salvezze: uno sguardo una gratitudine; lontano "dalle parole che fanno rumore"


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