chi sono Alessio Brandolini
 
che cosa ho scritto

Antologia critica di
Il futuro è un campo incolto




nella rivista web Fili d'aquilone, numero 44, ott./dic. 2016, di Marco Testi

Agenzia SIR - Servizio Informazione Religiosa, 13 novembre 2016, di Marco Testi

dal sito L'estroVerso, Periodico d’Informazione, Attualità e Cultura (Anno X, settembre 2016), di Rita Pacilio (l'originale è qui)

dal sito La macchina sognante, 1 luglio 2016, di Giancarlo Baroni (l'originale è qui)

dal sito Progetto Geum, 13 maggio 2016, di Viviane Ciampi (l'originale è qui)




nella rivista web Fili d'aquilone, numero 44, ott./dic. 2016, di Marco Testi     (inizio)

LA NECESSITÀ E LA POESIA
La prima antologia poetica di Alessio Brandolini




Agenzia SIR - Servizio Informazione Religiosa, 16 novembre 2016, Marco Testi     (inizio)

Poesia come speranza
(File PDF)




dal sito L'EstroVerso, 30 settembre 2016, Rita Pacilio     (inizio)

Il futuro è un campo incolto
(File PDF)




dal sito La macchina sognante, 1 luglio 2016, Giancarlo Baroni     (inizio)

Il futuro è un campo incolto - Alessio Brandolini
(File PDF)




dal sito Progetto Geum, 13 maggio 2016, Viviane Ciampi     (inizio)

Il futuro è un campo incolto - Alessio Brandolini

Il futuro è un campo incolto è l’ultimo libro di poesie di Alessio Brandolini ma soprattutto la sua prima antologia italiana la quale traccia un percorso che ha inizio nel 1992 fino ad arrivare al 2014. L’opera quindi è di grande aiuto per aver un quadro di quanto questo poeta schivo e non appartenente a scuole o a correnti, ha saputo regalarci in anni di scrittura.
Ma leggiamo alcuni versi iniziali dell’autore:

      Piccolo il cielo
      appuntamento tra le nuvole
      davanti al bar San Pietro.
      Poi la bici da corsa
      spericolatamente
      più veloci in discesa.
      Senza mani né freni
      né manubrio né ruote.

Già dagli esordi, dunque, il nostro poeta, lungi da concedere descrizioni distaccate ci fa entrare a piene mani con la bicicletta da corsa nella vita – appunto – per rimanere in fusione perenne con essa. E lo fa con stile chiaro, alieno da artifici letterari, da deliberati disincanti, partendo da fatti reali prima di arrivare a lampi di stupefacente visionarietà. Lo fa con un io che fa capolino, s’infiltra si ritrae e si scompone. Nel suo tessuto verbale non manca la solitudine di una città caotica – Roma – così poco a misura d’uomo – seppur nella sua maestosa bellezza, seppur nelle sue manciate di progresso e di regresso, dottamente citata durante tutto l’arco delle sillogi che attraversano il libro – teatro di drammi e faticosi andirivieni. Vi troviamo tutti gli elementi della disposizione meditativa che caratterizzeranno, negli anni, la poetica di Brandolini: l’attenzione alle piccole cose, la compenetrazione con gli eventi naturali, il disabilitarsi dalle ossessioni del lusso, l’agonizzare della civiltà, l’angustia quotidiana del mondo che si degrada, l’amore che ogni giorno va conquistato (molti dei libri sono dedicati alla moglie Laura). Marco Testi, suo prefatore scrive: “Con Il futuro è un campo incolto l’autore offre la possibilità di capire che siamo di fronte a nuove sonde della realtà, che entra nel nuovo senza corteggiarlo, che è parte dell’antico senza esserne schiava o eccessivamente tributaria”.

      Gli alberi
      sono stati abbandonati?
      non hanno più nome
      sotto la spessa corteccia
      c’è solo un buco
      un passaggio sbarrato
      privo di linfa
      un nido di muffa, di tarli.
      Per questo fra tre giorni
      verranno ad abbatterli.

      A terra i frutti
      svuotati dai vermi
      presi d’assalto
      da formiche affamate
      da ragni rossi
      con la bocca a tenaglia.

      Intorno all’albero
      il tappeto di foglie
      macerate nell’acqua.

In tutto il libro si scorge l’ansimare del tempo, il battito della terra, a tratti morbida, a tratti pesante sotto i passi, che aspira la presenza dell’uomo mentre tanti fragili equilibri si disperdono, scavano l’eterna valle di ciò che si approfondisce, che penetra antichi territori rimasti sotto l’irrigazione dei rivoli delle ore, di ampie arborescenze che avviluppano i timori dell’uomo attraverso i secoli, demoltiplicano i sensi erettili, esaltano i profumi in arrivo dal suolo bagnato.

      Dura è la terra
      per chi semina e nutre
      grani di amore
      per chi strappa l’ortica.

      Un sole giallo
      grande-granoturco
      oggi ci spia
      ci protegge dal buio
      dall’acqua sulfurea.
      Forse ci stima
      magari ci ama.

      E allora diciamo
      che una sera
      l’usignolo cantò
      su questa pietra.

Nella corrente del fiume (il Tevere) batte l’orologio del tempo con le sue ore tremende e magnifiche dove volteggiano nuove libertà. L’uomo nascerà, si rinnoverà, morrà, forse guarderà la terra con occhi trasparenti da un altro pianeta, o da un altrove e da quel silenzio capirà i sortilegi del vento, quali sono le erbe da estirpare nel campo incolto dell’infanzia, quali i rami da mozzare, quale tessitura hanno i legami d’amore, d’affetto, di fratellanza e d’amicizia. L’uomo – forse – vedrà tutto questo da lassù. Intanto, né vincente né perdente, l’uomo di adesso che – non nascosto in un bunker – se ne sta in viaggio a realizzare i sogni e come ragni e formiche le quali non arretrano davanti al futuro tesse “i suoi felpati giorni”. Il dubbio semmai – sembra dirci Alessio Brandolini – non è tanto come coltivare il campo incolto ma come concimare noi stessi, noi umani, come nutrire la mente in questi giorni di ruggine.
E fino all’ultima silloge “Nello sguardo del lupo”, ritroviamo l’assidua ricerca del senso della vita con la presenza della fatalità, senza fronzoli consolatori ma nella stoica accettazione del destino.

      […] Questo ritrarsi nella pelle del lupo per conoscere
      per conoscersi e spaventarsi, continua sfida esonerata dallo scontro.
      Stressa la ricerca di un proprio spazio, poi per giorni
      a discuterne nel rifugio.

Il lupo, quindi, cristallizza tutte le paure. Ma è anche l’io poetico, spesso nascosto come nella fiaba e come nella vita coi suoi lacci di sangue aggrumato, che semina tracce, sopporta le ferite. L’animale, nella realtà, s’accorge della malevolenza dell’uomo che lo teme e vuol abbatterlo. Ma possiamo leggere nel lupo (senza mai dimenticare che siamo a Roma dove la lupa ha forte presenza simbolica) come nella poesia del periodo romantico di Alfred de Vigny “La mort du loup” l’emblema dell’umanità forte e pura, che non si vende al potere e impara a morire nel silenzio dignitoso. Ma si riconosce anche il mito del cacciatore: “Abbattere la gabbia” “alzi steccati, affili coltelli”. Il lupo è altresì il Maître-loup, l’animale fiero e aristocratico di Jean de la Fontaine, che sa conservare la sua indipendenza e dice al cane (che considera servitore del padrone) “La libertà è un tesoro” prima di fuggire. Infatti come dice La Fontaine, il lupo fugge ancora…




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