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COLLETTIVO R / ATAHUALPA
quadrimestrale di poesia
n. 4-6 (nuova serie)
gennaio-dicembre 2007
Anno XXXVII

Contiene sette poesie dalla raccolta
Tevere in fiamme

(Tevere in fiamme, che si compone di 20 testi, è stato pubblicato integralmente sul numero 5 (gennaio/marzo 2007) della rivista web "Fili d'aquilone") e andrà a far parte della raccolta inedita Il fiume nel mare che uscirà, presumibilmente, nel 2009. Il poemetto è un omaggio a Roma e, insieme, alla poesia di Eugenio Montejo (v. Eugenio Montejo, La lenta luce del tropico - Antologia poetica, a cura di Martha Canfield, traduzione dallo spagnolo di Luca Rosi, Le Lettere, Firenze 2006.)


La poesía cruza la tierra sola,           
apoya su voz en el dolor del mundo

Eugenio Montejo


    *
Di notte la vita ha frammenti di bellezza
nascosti nelle voci suadenti delle foglie
quando si staccano dai rami e lente
planano sull'asfalto, sui sacchi d'immondizia.

Da qui vedo il paese, in alto sulla destra
lo stesso che ha scolpito questo cuore
fitto d'oscure macchie e pietra grezza
che cede alla polvere i petali della sua pigrizia.

Il fischio vibrante delle canne è spronato
dal vento che trascina con sé le tracce
di fiumi asciutti, o in fiamme,
di territori assetati e sconvolti in questi giorni.

Ora mi lascio sfoltire dall'erba
con gli occhi chiusi poto i ciliegi
ma l'esodo dalle ferite è il frutto che ci afferra
e alimenta la voglia di ripartire dall'inizio
perché la bocca ha le sue aguzze spine
a sigillare i ricordi, i fiori carnosi della savana.


    *
Di più non posso
sottrarmi alle tenebre, all'abisso
nel mare chiuso in uno specchio
e scalzo andare incontro al figlio
con le mani assicurate a un fosso.

Se potessi parlarti un giorno
ti racconterei dei bisbigli
d'ali del pappagallo chiuso
in una gabbia messa in mostra
in un salotto ingombro di sbadigli,
delle doglie dopo il parto respinto
dei toni aspri che scacciano la luce.

Quello non era un sogno
ma realtà spalmata nello sguardo
con la camicia sudata e le scarpe
sprofondate nel fango, i tacchi
sbattuti sulle pietre consumate
dal cammino e del suo esatto contrario.
La nuvola che sorvola i giorni lesta arpiona i sogni
con dolcezza porta via la pelle e i grani del rosario.

    Dà fuoco alla città e al bosco. Guarda:
    adesso persino il Tevere è in fiamme!


    *
Mi rivolgo al caldo tropicale per il piacere che ho della luce
con il tiepido sussurro emanato dal sordo che ascolta il sole
la devozione del sarto che a occhi chiusi si cuce le labbra
lo scuotimento dell'animale dalle zampe annodate.
Sulle spalle le spine delle rose, le schegge degli alberi
le pietre ancora calde di case e palazzi divorati dalle bombe.

Uccelli della notte mettono il becco nella luna dei nostri occhi
lasciano un segno d'ali leggere, di rientri in punta di piedi.
Di ricordi vaporizzati dal sale
di uomini dallo sguardo onesto
del regolare fluire delle stagioni
di nidi di grano e spighe di frutti
di fiori di fumo che salgono dalla legna che arde
del piacere del corpo rivestito con borchie di rame.

Mi ritrovo uno scalpitio di puledri nel petto
un passaggio di piume, una fuga di iene assassine.


    *
Di notte fodero il buio con spessi strati di neve
e immobile ascolto le cicale che da sempre
ci respirano accanto o si nascondono nelle nostre vene.

Così resisto ai colpi del tempo, addolorato ma non sconfitto
mi fascio la fronte di spine, metto nei denti il veleno giusto.
Nel flusso sciolto dal sogno c'è sangue dappertutto
di madri e padri che in guerra hanno perso il figlio.
Al rallentatore rivivo il viaggio dell'indeciso
del pazzo ubriaco e trafitto da foglie di banano, platano o fico.

A volte osservo ad occhi chiusi come avrei
voluto che fosse il mondo
e ascolto il triste scoppiettio del forno
annuso e sfioro con le dita il pane
bianco a lievitazione naturale
i decenni spesi (e ormai persi) a farsi del male
a scagliare parole di sconforto sulle navi d'Ulisse.


    *
Questo stormire d'acqua non è un suono
atavico come tu dici, ma la fontana
di Trevi e sulle foglie dei platani
disposti a croce non sta scritta la vita.
Da lì non scendono gemme dorate
ma punte di lance che si conficcano
nella carne marcia dei pesci d'acqua dolce
e nelle teste dei passanti: li puoi vedere a lungo
in ginocchio a raccogliere frammenti, ricomporre
con scrupolo il puzzle della memoria, delle emozioni.

Infatti lungo il Tevere oggi le auto in coda ardono l'aria
le pallide cortecce dei platani, il volto ustionato e stanco
delle città-mondo che alla svelta s'espandono senza freni.

Questo stormire d'acqua è il pianto che piove dentro.
Al padre vorrei dire ciò che sento
portargli in dono non la rabbia per la terra maltrattata
ma l'inutile scheletro per seppellirlo con questi versi
in un'urna romana sotto il paese medievale
dove sono cresciuto all'ombra della torre campanaria.
Alla madre una semplice e docile preghiera
di pietre taglienti che il tempo ha trasformato in pane.

Essere costretti alla forca
a mostrare il danno irreparabile.
Così il sarto che a se stesso cuce gli occhi
e più tardi, con destrezza, anche la bocca.


    *
Un paio di labbra screpolate dal freddo
fissano a lungo Roma murata dalle auto
poi si stringono a sottile, oscena fessura
cerniera di rame e d'acciaio, antiscasso
punto esclamativo scoppiato in silenzio
in combutta con l'odio che ancora perdura.

La notte è un foglio bianco ricoperto di solchi profondi
di terra grassa macinata lentamente da silenzi oceanici
dove gli alberi del lungotevere organizzano una danza
con i fili spinati che giungono dalla Palestina
le tremule luci di Castel Sant'Angelo riflesse nell'acqua.

Cola a sorpresa il sogno (dopo anni avviliti dall'oblio)
          di scucire le labbra
                      e lanciare un grido
affondare i denti avvelenati al collo gelido del tuo dio.


    *
La città eterna ci rovina addosso, non bastano le palafitte
né il verde profumo della savana. Ai tropici fa freddo
e a volte cade persino la neve.
Sono stato sotto i ponti e ho visto le tenebre
le croci, il fiume tagliato in due dall'oceano dei liquami
il tatuaggio di nuvole sulla pelle strappata alle lucertole.

Crolla addosso la pioggia di settembre
i conflitti sul lavoro con le scimmie ammaestrate
i pugni allo stomaco dati e ricevuti
la manciata di chiodi che segnano il percorso
gli alberi strappati alla terra, le menti telecomandate.

    La ripresa del sogno
    perso al volo, in salita
    bagna il becco nel nero delle strade
    nella calma dei buoi che trascinano
    le foglie dei platani, degli ulivi
    persino dei banani dove sta scritta la vita.

I lampi sinistri del Tevere illuminano gli sfregi sul volto della Terra.
Nel paesaggio saldo e assoluto delle rovine che ci rotolano addosso
oggi trovo un canto e ti vengo incontro (se posso, se me lo permetti)
negli occhi la luce sfibrata ma tenera di Roma
sulle spalle le pietre del fiume. E questa voce che alla tua s'affianca.




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